3,2,1… Buon Anno! O almeno auguriamoci che sia così, perché l’anno appena conclusosi ci ha lasciato con l’amaro in bocca. Fino a fine settembre 2018 le performance erano positive, poi il mercato si è girato e non c’è stato niente da fare.
Una rondine non fa primavera, ma da queste prime sessioni di mercato, il peggio sembra passato. La situazione attuale è riassunta dalla tabella sottostante: la stagione dei saldi è terminata da un pezzo, il mercato finanziario deve fare i conti la fine del QE, e la crescita è in fase calante.
Che fare dunque con i portafogli? Come abbiamo detto in occasione nell’ultima asset allocation, l’attuale contesto ci sembra comunque positivo per investire nel medio-lungo termine. Vediamo quali sono i “grandi rischi” che possono cambiare drasticamente il quadro.
1) Guerra commerciale
Nello stesso momento in cui la battaglia commerciale tra Cina e USA è entrata nel vivo, il tasso di crescita del commercio mondiale è sceso dal 5,0% di dicembre del 2017 al +3,7% di novembre 2018. Il rallentamento dell’auto tedesca, la riduzione delle stime di crescita di Apple e Samsung (due player globali di tecnologia) suggeriscono che qualcosa, in effetti, è cambiato. Il 2019 si è aperto sotto i migliori auspici, ma è presto, vedremo. Se le tensioni commerciali si ammorbidissero, gli attivi rischiosi ne beneficerebbero – in particolare gli Emergenti.
2) Allarme recessione USA
Nell’ultimo periodo si è parlato molto dell’inversione della curva dei tassi d’interesse USA come di un presagio d’imminente recessione. La ragione è semplice: stando a una discreta evidenza empirica, quando i rendimenti di lungo termine (dieci anni) sono più bassi di quelli a breve termine (2 anni), la recessione è imminente. Al momento, questa differenza è intorno ai 14 punti base, niente di che, e poi gli ultimi dati sulla crescita degli occupati (+312 mila unità) non sono proprio da economia fiacca. Inoltre, sebbene sia probabile che il ciclo economico sia in decelerazione, si parte da una base piuttosto alta, non da rasoterra (+0,8% nel terzo trimestre 2018 rispetto al secondo). Di solito, in caso di recessione, gli attivi difensivi (bond e oro) tendono a fare meglio.
3) Una Fed più aggressiva del previsto
Fino ad ora la Fed è riuscita ad alzare i tassi d’interesse e a ridurre il bilancio senza dover correre, grazie ad una modesta crescita dell’inflazione (quella core è stabile intorno al +2,0%). Tuttavia, negli ultimi sei mesi c’è stata una netta accelerazione dei salari (da 3,0% di marzo a +3,7 di novembre) che ha buone probabilità di non arrestarsi (anche perché il numero posizioni aperte è superiore al numero di persone che cercano lavoro); ciò potrebbe spingere ulteriormente l’inflazione, costringendo la Fed ad inseguire e alzare i tassi d’interesse in modo più brusco. Secondo i calcoli degli analisti di HSBC, un aumento dei salari di un punto percentuale comprime i profitti dell’indice MSCI USA di un punto e mezzo, ed in modo particolare sui settori trasporti, auto, e alimentari.
4) Debito corporate e liquidità
In economia i pasti gratis non esistono. Se le politiche monetarie accomodanti hanno salvato il sistema finanziario mondiale, indebitarsi non è mai stato così a buon mercato come in anni recenti. Le aziende quotate ne hanno approfittato: tra il 2008 e il 2017 il valore complessivo dei titoli con rating BBB che compongono l’indice Bloomberg Barclays index è passato da $670 miliardi a $2,500. L’indebitamento di per sé non è un problema fino a quando le aziende riescono a ripagarlo. Ma se l’economia dovesse decelerare, i risultati aziendali peggiorare insieme agli indicatori d’indebitamento delle aziende, allora gli investitori potrebbero diventare nervosi. E potrebbero così nascere i problemi, perché i corporate bond sono asset piuttosto illiquidi (la maggior parte delle obbligazioni non vengono scambiate per settimane) e prima di trovare dei compratori, in caso di stress, i prezzi potrebbero scendere velocemente. Perciò occhio alla qualità degli investimenti.
5) La solita Cina
I dati sulla Cina sono un bel mix. Se si guardano i dati sulla produzione industriale e il PMI manifatturiero, l’economia sta continuando a decelerare; se invece si cambia prospettiva e si guarda ai servizi e consumi, i dati sono migliori. L’economia cinese è in fase di ristrutturazione e i vecchi tassi di crescita non sono più sostenibili. Al momento va ancora tutto bene, ma per dimensione e per indebitamento la Cina è troppo rilevante per non tenerla d’occhio.
6) Elezioni europee
L’eterna discussione sulla tenuta istituzionale del progetto europeo rende la zona euro e l’Unione Europea nel suo complesso strutturalmente la zona economica più fragile. Le elezioni europee, potrebbero consolidare a livello europeo l’ascesa dei partiti populisti, che tendono ad avere un profilo sovranista più marcato e di conseguenza sono anche i più scettici nei confronti dell’assetto istituzionale europeo. Il rischio in questo caso è che torni a diffondersi l’idea di una crisi istituzionale che metterebbe a rischio la stabilità economica e finanziaria della zona euro (almeno nel breve periodo). Se così fosse, l’euro potrebbe soffrire e ci sarebbe una corsa verso gli attivi considerati sicuri, come i titoli di Stato tedeschi e quelli USA a discapito dei periferici (Spagna, Italia, Portogallo, Grecia). Le banche, anche se meglio capitalizzate di qualche anno fa, sarebbero le prime a soffrire.
7) Hard Brexit
Si entra nel mondo dell’ignoto. Il 15 gennaio il Parlamento inglese deve votare sull’accordo Brexit siglato dal premier Theresa May. Senza l’approvazione da parte del Parlamento sarà Hard Brexit e nessuno sa esattamente che cosa voglia dire. Fino ad ora, l’incognita Hard Brexit ha pesato sul valore della sterlina e sull’inflazione senza compromettere pesantemente la crescita inglese o dare il via ad una crisi sistemica. Ma allo stesso tempo, di concreto non è successo niente, se non speculazione politica: gli effetti reali della Brexit si devono ancora materializzare, perciò è meglio tenere tale rischio nel radar.
Stiamo parlando di rischi visibili, che gli investitori conoscono e che molto spesso sono legati l’uno all’altro. La differenza la fa l’intensità con cui si manifestano e quando li ordiniamo per probabilità di accadimento e impatto, lo facciamo come se si dovessero materializzare nel pieno della loro intensità.
Tirando le somme, da un punto di vista puramente qualitativo, al momento scongiuriamo lo scenario peggiore (quadrante in altro a destra): tra i rischi menzionati non c’è nessuno che abbia un’elevata probabilità di accadimento e un alto potenziale d’impatto sui mercati.
Tra i rischi più pericolosi ma con una bassa probabilità di realizzo (quadrante in alto a sinistra) mettiamo la Fed, le elezioni europee e la recessione Usa. Per noi, la Cina e il rischio bolla del mercato obbligazionario non sono tra i rischi peggiori. L’Hard Brexit ha una buona probabilità di realizzo ma gli impatti fino ad ora ci sembrano gestibili. Ma come abbiamo detto con l’Hard Brexit entriamo in un territorio inesplorato, perciò è meglio rimanere vigili.
L.F.Gambetta / Gennaio 11, 2019
Buongiorno, mi riferisco al grafico in cui si visualizza lo scenario dei rischi. Secondo me è errata la posizione attribuita alle elezioni europee in quanto: impatto alto ok; probabilità di accadimento dovrebbe essere alta.
/
Jacopo Caretta Mussa / Autore / Gennaio 21, 2019
Ciao Gambetta, le elezioni europee possono avere un grande impatto sui mercati nel momento in cui diventano l’inizio di un processo di smantellamento dell’Unione Europea / zona euro. Tale scenario si potrebbe verificare se i partiti sovranisti otterranno una netta maggioranza e se effettivamente decideranno per lo smantellamento dell’attuale assetto istituzionale. Al momento gli attribuisco una bassa probabilità.
/