Il termine ESG va tantissimo. Quasi non si sente parlare d’altro nel mondo del risparmio gestito. Si tratta d’investimenti in titoli di aziende che operano secondo criteri di sostenibilità ed etica, prendendo in considerazione fattori ambientali, sociali e di governance.
Più precisamente, si tratta di scelte d’investimento che non mirano soltanto al ritorno economico, ma che rispettano i tre pilastri ESG:
- Environmental (E), cioè focus su ambiente, rischi climatici, scarsità di risorse naturali;
- Social (S), ovvero attenzione ai lavoratori, alla sicurezza (anche dei dati) e ai rischi associati ai prodotti e servizi venduti;
- Governance (G), che riguarda l’etica del business, l’allineamento tra i valori dichiarati e l’operato, la composizione dei consigli d’amministrazione, la retribuzione del top management, e via dicendo.
Per capirci, gli investimenti ESG tipicamente escludono titoli di società con ricavi derivanti da armi, tabacco, alcool, contenuti pornografici, gioco d’azzardo, combustibili fossili.
Oggi, la quantità di indici e di prodotti finanziari come fondi ed ETF sul tema ESG è vasta e qualunque risparmiatore può investire in modo sostenibile in azioni e obbligazioni, sia su scala globale, sia su singole aree geografiche. Se la filosofia d’investimento ESG è largamente condivisibile dal punto di vista morale, ci si può prosaicamente domandare quale sia l’impatto sulle performance.
Vale la pena di investire ESG?
Vediamo qualche dato. Focalizziamoci sulle azioni e consideriamo l’indice MSCI World ESG Net Total Return, che rappresenta azioni di tutto il mondo (inclusi alcuni Paesi Emergenti) rispettose dei criteri ESG; confrontiamolo con l’indice MSCI AC World Daily Net Total Return, che include anch’esso azioni di tutto il mondo, ma senza fare distinzioni in base a criteri ESG.
Immaginando di investire un dollaro sull’indice MSCI World ESG e un altro sul MSCI AC World, e vediamo come sarebbe andata dal 2007 (su Bloomberg la storia dell’indice ESG parte da lì) ad oggi. Il grafico seguente mostra la differenza tra l’investimento ESG e quello tradizionale, cioè il “premio ESG”.
Questa prima annusata alla storia suggerisce che investire ESG paga: in una dozzina d’anni, il premio di rendimento cumulato ammonta al 6% circa.
Ci possiamo legittimamente domandare se questa differenza a vantaggio dell’ESG sia positiva per caso, come spesso accade sui mercati finanziari, oppure sia statisticamente significativa e nasconda una sostanza. Effettuando un paio di test di significatività sull’extraperformance ESG (per i pignoli, il test dei segni e il test di Wilcoxon, due test robusti), la differenza risulta significativa. Cioè: è una differenza reale, concreta, almeno nel periodo storico esaminato.
Un’altra domanda sensata è: quanto ci possiamo aspettare in più da un investimento ESG in azioni internazionali, ben diversificato?
Sempre utilizzando un po’ di modellizzazione statistica dei dati in questione, ho stimato questa grandezza. Che poi è il valore atteso del premio di rendimento ESG per l’azionario mondiale. Trattandosi di una stima con un margine d’errore, non miro ad ottenere un valore puntuale, bensì un’intera gamma di valori: una distribuzione di probabilità, riportata nel grafico seguente1.
È una stima statisticamente robusta, cioè piuttosto affidabile, basata sulla (relativamente breve) storia ESG dell’azionario internazionale: ci possiamo aspettare tra lo 0,25% e lo 0,35% in più all’anno dagli investimenti ESG rispetto a quelli tradizionali (in dieci anni, per dire, il guadagno medio cuba a oltre il 3%).
Del resto la presenza di un premio positivo associato agli investimenti azionari ESG è rilevata nella maggioranza degli studi (si veda, per esempio, il recentissimo “Sustainable investing: a ‘Why not’ moment”, Global Insights, 2018, BlackRock Investment Institute), anche se non può essere considerata del tutto incontrovertibile (sul punto si veda Carpenter e Wyman “Shedding light on responsible investment: approaches, returns, impacts”, 2009, Mercer Investment Consulting).
Due parole sul rischio. La volatilità annua dell’indice ESG è statisticamente indistinguibile da quella dell’indice tradizionale (18% in entrambi i casi), mentre il downside-risk stimato sulla distribuzione di probabilità dei rendimenti annui è 15.2% per l’investimento tradizionale e 14.6% per quello ESG – quindi una lievissima differenza a favore dell’ESG.
Ammettendo che investire ESG paghi, vale però la pena di chiedersi quali siano le ragioni dietro questo fenomeno – perché è sempre sano cercare una solida motivazione economica, altrimenti si rischia di inseguire il rumore statistico.
Perché investire ESG paga?
Molti studi empirici che analizzano il legame tra ESG e performance si limitano più che altro a rilevare una correlazione positiva, finendo così con il confondere correlazione e causalità (classico trappolone), concludendo che “soddisfare criteri ESG causa migliori performance”.
Non è detto: potrebbe essere esattamente il contrario. Può essere che le migliori società in termini di fondamentali e di strategia, quelle che negli anni tendono ad avere migliori performance, siano particolarmente attente ai criteri ESG.
L’idea è che le aziende virtuose e ben gestite – che pertanto eccellono nel gestire i rischi ambientali, i rapporti con la società, i clienti, i dipendenti e via dicendo – gravitino naturalmente intorno ad alti punteggi ESG. Quindi ESG è l’effetto, non la causa.
È solo una mia ipotesi. Tuttavia, trova un certo supporto nell’analisi dei fattori finanziari che maggiormente dominano il panorama ESG: sono principalmente i fattori Quality e Low Volatility a incidere. Si tratta di fattori associati a utili e cash-flow stabili, indebitamento contenuto, politica di dividendi regolare, solida corporate governance, resilienza a shock di mercato. Ragionevole pensare che simili società ci tengano ad avere (e poi ottengano) elevati punteggi ESG.
Take home
La “moda ESG” non è solo marketing, è anche sostanza: da un investimento etico ci si può infatti attendere un vantaggio in termini di performance, con un razionale economico dietro a tutto ciò. Inoltre, l’investimento ESG è alla portata di qualsiasi risparmiatore, vista l’abbondanza di ETF e fondi ESG sul mercato.
Attenzione, però: la differenza di rendimento annua che ci si può attendere rispetto a un investimento tradizionale è pari a qualche decina di punti base (ed è naturalmente volatile, per cui potrebbe essere anche negativa per effetto del caso), sicché occorre prestare attenzione alle commissioni di gestione, per evitare che si mangino il guadagno, se troppo elevate.
1 – Ho ottenuto la distribuzione di probabilità del premio ESG annuo adottando la tecnica del double-block-bootstrap, simulando tanti possibili investimenti di un anno di durata, stimandone poi la media per ricampionamento (spiegazione grezza, lo so, se volete dettagli scrivete senza farvi problemi nei commenti: vi risponderò), utilizzando dati settimanali di fonte Bloomberg da settembre 2007 ad oggi.
Francesca / Dicembre 18, 2018
Mi sembra si sia fatta confusione tra investimenti SRI (Investimento Sostenibile e Responsabile) e criteri ESG.
Gli investimenti SRI, tipicamente applicano criteri di esclusione e più in generale è la declinazione del concetto di sviluppo sostenibile agli investimenti finanziari.
La gestione SRI, integra i criteri ESG, ossia criteri ambientali, sociali e di governance societaria nella valutazione e selezione dei titoli.
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Raffaele Zenti / Autore / Dicembre 20, 2018
Ha ragione, ma è pratica comune parlare di “investimenti ESG”; mi sono (discutibilmente) adeguato.
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Diego bossio / Dicembre 19, 2018
Buongiorno Dott. Zenti,
avrei un paio di domande sul suo articolo:
1) Il test di significatività sull’extraperformance ESG è stato fatto usando le serie storiche settimanali di performance dei due indici dal 2007 ad oggi?
2) E’ possibile avere il dettaglio della procedura double-block-bootstrap usata per il calcolo del premio atteso dell’investimento ESG?
Resto in attesa di un riscontro.
La ringrazio
Saluti
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Raffaele Zenti / Autore / Dicembre 20, 2018
Buongiorno,
la procedura di bootstrap prevede il bootstrap di blocchi di dati contigui, formando periodi annuali. In questo modo si ottiene una stima della distribuzione di probabilità excess return annuali, che chiamiamo ER. Il test di significatività è fatto su questi dati: si verifica se l’excess return si discosta da zero con dei test non-parametrici che certamente conosce. La distribuzione della media, invece – in sostanza la stima della distribuzione di probabilità dell’excess return atteso – è ottenuta applicando il bootstrap a ER.
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maria / Dicembre 21, 2018
queste soluzioni di investimento promettono, ma il cliente non è in grado di verificare che la gestione sia effettivamente applicata, non esiste un “riconosciuto” sistema di controllo, e guardando alcuni fondi si vedono già titoli che non dovrebbero essere presenti.
Ad alcuni e anche a me, sembra più un tema per spostare l’attenzione da altri argomenti.
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Raffaele Zenti / Autore / Gennaio 22, 2019
Non esiste a quanto mi/ci risulta, alcun ente che certifichi che effettivamente il fondo X segua criteri ESG. Però, se la volontà e l’impegno di seguire criteri ESG sono dichiarati nel regolamento del fondo (o altro prodotto analogo), allora diventa vincolante, perché il regolamento è legge, e il regulator è tenuto a farlo rispettare.
Va detto inoltre che c’è un bel rischio reputazionale e commerciale a dichiarare di attuare una gestione etica e poi non farlo.
Comunque, indubbiamente, quella della gestione ESG è una moda: alcune società di gestione si sono semplicemente adattate, cavalcando opportunisticamente il trend. Di buono c’è che il mercato dei fondi e degli ETF è talmente vasto e competitivo – i prodotti sono “commodities” – che se un risparmiatore si sente in qualche misura preso per i fondelli da una società di gestione o da un consulente, deve semplicemente cambiare società/consulente.
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Raffaele Zenti / Autore / Dicembre 21, 2018
Innanzitutto, sono ovviamente dati nella stessa divisa, cioè l’USD (ed è superfluo dire che effettuare l’analisi in EUR non cambierebbe di una virgola i risultati); la composizione dell’indice sottostante ha delle differenze nei due casi, non enormi ma comunque si tratta di differenze: nella composizione valutaria, geografica, settoriale. In effetti è possibile che ciò abbia un effetto (anche se penso non sia grande). Ma per me non è questo il punto: io non penso che esista un “fattore ESG”, ergo non voglio distillare e isolare il “fattore ESG”. Come ho scritto, semplicemente sospetto che le aziende ESG (esposte a un mix di fattori già esistenti, con dei bias, alcuni li cito nel post) tendano a possedere caratteristiche che le rendono più competitive, in modo proattivo. Tutto da vedere se sia vero e se abbia tenuta nel tempo.
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