Forse per i giovani di oggi i libretti di risparmio hanno un retrogusto un po’ vintage, ma fino a qualche anno fa erano molto diffusi in Italia. I libretti postali sono stati il primo strumento di massa della storia del risparmio italiano ed erano il tipico regalo che i nonni o i genitori facevano a nipotini e figli, per il compleanno o il battesimo, in modo da mettere da parte per loro i primi risparmi. Ma le cose stanno cambiando e chi ancora possiede uno di questi libretti dovrà adeguarsi rapidamente.
Cosa sono i libretti di risparmio?
Come sempre iniziamo con un rapido ripasso. I libretti di risparmio – bancari o postali che siano – sono sostanzialmente una sorta di conti correnti con funzioni molto limitate e costi irrisori. Fisicamente si presentano come supporti cartacei forniti dalle banche o dalle Poste dopo l’apertura di un deposito di risparmio: su questi libretti vengono riportate tutte le operazioni contabili effettuate dal cliente (prelievi, versamenti) o dalla banca (interessi o spese, accredito della pensione, imposta di bollo).
Il titolare del libretto può solo versare e prelevare contanti (anche se ultimamente le banche includono spesso anche una carta di debito, tipo bancomat). Mancano però gli assegni e le carte di credito e, cosa importante, non è consentito “andare in rosso”. Si tratta dunque di strumenti perfetti per mettere da parte qualche risparmio, anche perché i costi sono quasi nulli: per i libretti postali non sono previste spese di apertura, chiusura e gestione, eccetto gli oneri di natura fiscale, e anche per quelli bancari, che prevedono qualche servizio in più, i costi sono decisamente bassi.
I libretti di risparmio possono essere di due tipi: nominativi e al portatore. I primi, come dice il nome, sono intestati a una o più persone che ne sono esclusivi titolari, mentre i secondi sono associati al portatore (la banca tiene un registro di chi li ha utilizzati nel tempo) e non sono riconducibili a un soggetto specifico.
Cosa cambia?
È proprio su questi ultimi che la legislazione è cambiata: non essendo nominativi, questi strumenti non sono tracciabili e si prestano dunque a illeciti come il riciclaggio di denaro sporco. Così si è deciso di mandarli in soffitta.
Il decreto legislativo 90/2017, che recepisce la normativa europea di contrasto al riciclaggio, prevede infatti l’estinzione dei libretti di risparmio al portatore: già dal 4 luglio 2017 non è più possibile emetterne di nuovi e ora anche quelli vecchi ancora in circolazione vanno chiusi, precisamente entro il 31 dicembre 2018. Chi non lo farà rischia una multa. Insomma, si chiude un’epoca durata oltre un secolo e se ne apre una nuova.
Che fare se si possiede un libretto al portatore?
Niente panico, avete ancora il tempo di correre ai ripari, recandovi in banca o in un ufficio postale entro e non oltre il 31 dicembre 2018 per chiedere la chiusura del libretto. A quel punto dovrete decidere cosa fare dei risparmi che vi erano depositati. Avete diverse alternative:
- trasferirli su un conto corrente
- chiedere la conversione in un libretto nominativo
- farveli liquidare in contanti
Dopo il 31 dicembre 2018 i libretti al portatore saranno inutilizzabili. Non solo: le banche e Poste Italiane avranno l’obbligo di effettuare una comunicazione al ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale applicherà ai detentori ritardatari una sanzione amministrativa che potrà variare dai 250 ai 500 euro.
Non tutto il male viene per nuocere
È vero che sarà ancora possibile utilizzare liberamente i libretti nominativi e i conti deposito, ma forse varrebbe la pena di sfruttare a proprio vantaggio questo cambiamento, cogliendo l’occasione per allocare i propri risparmi in modo migliore. Già da diversi anni, infatti, complici i tassi di interesse molto bassi (e che non si rialzeranno tanto velocemente), i rendimenti offerti dai libretti di risparmio – così come dai conti deposito – sono decisamente poco appetibili.
Questi strumenti sono ormai poco più che un parcheggio per i risparmi, che rimangono esposti al potere erosivo dell’inflazione senza maturare interessi. Insomma, è poco diverso dal lasciarli nel porcellino salvadanaio.
La buona notizia è che esistono soluzioni più redditizie e non necessariamente molto più rischiose. Una di queste potrebbe essere costituita da un fondo comune di investimento sottoscritto nella modalità del Piano di Accumulo (PAC), che consente di investire in modo graduale, versando di volta in volta piccole somme per far crescere il proprio capitale nel tempo, anche con l’aiuto del meccanismo di capitalizzazione degli interessi.