Che senso ha la festa della donna nel 2012? La festa della donna è una specie di quota rosa fortemente voluta dai venditori di mimose? E perché non esiste una festa dell’uomo (magari da stabilirsi il 29 febbraio)?
Quello della festa della donna non è un tema importante ma una riflessione sulle donne oggi in Italia ci sta tutta. Di donne e lavoro in Italia si parla molto, anche perché uno dei dati incontrovertibili è che il nostro Paese è una delle Nazioni europee dove la partecipazione femminile al mercato del lavoro è più bassa: il 46%, circa dieci punti meno della media europea; solo Malta è messa peggio di noi.
Siamo condannati a viivere “nel Paese più maschilista d’Europa”, come scrive in un gran bel libro la nostra amica Caterina Soffici?
Servono le quote rosa?
I dati si trovano e, a seconda dell’inclinazione politica, si possono leggere in diverso modo. Alcuni fatti sono però evidenti a tutti:
- in Italia esistono scarsi incentivi pubblici alle madri di famiglia che lavorano (in Francia una donna può detrarre dalle tasse il costo della tata, del latte in polvere e dei pannolini e ha ampia scelta di asili pubblici)
- il mercato del lavoro ha mostrato una scarsa apertura verso soluzioni come il part- time, che consentirebbero alle donne di gestire in modo flessibile lavoro e famiglia
- culturalmente i maschi italiani (specie quelli della vecchia generazione) tendono a lasciare alla moglie le incombenze famigliari e domestiche, che esse lavorino o no.
D’altro canto, se si leggono bene le informazioni disponibili sul web, si scopre una realtà un po’ diversa, che evidenzia ancora una volta l’arretratezza culturale del nostro paese e che, forse, la situazione in cui oggi le donne si trovano è colpa un po’ delle donne stesse. Leggete questo articolo.
Grazie al supporto di slide e numeri, è dimostrabile una cosa sconvolgente: delle donne che non lavorano la stragrande maggioranza, il 73% , si dichiara “non disponibile a lavorare”!
I dati ISTAT raccolti da Roberto Cicciomessere di Italia Lavoro fanno sobbalzare, perchè se alle donne non disposte a lavorare viene chiesto se la loro condizione dipende dal fatto che i servizi pubblici di supporto alle donne lavoratici (asili, etc) sono inadeguati, l’82% risponde no! Inoltre, ben 766.000 donne rispondono “non voglio lavorare perché mi sono sposata”. Aaargh!
Facciamo il punto della situazione normativa: abbiamo una legge sulla maternità piuttosto generosa: 5 mesi di maternità obbligatoria remunerata all’80%, più 6 mesi di maternità facoltativa remunerata al 30%, più la possibilità di astenersi dal lavoro per altri mesi a titolo gratuito finché i figli hanno 10 anni… mica male.
Purtroppo molte donne ne hanno abusato, trascorrendo a casa il periodo più lungo possibile e poi, una volta tornate, prendendo ferie di due mesi in luglio e agosto, grazie alla parte di congedo di maternità residuo, alla faccia dei colleghi maschi.
E le quote rosa? Penso che non sia il modo giusto per risolvere il problema perché, imponendo le donne dall’alto, in aziende o in politica, sulla base di un ditkat rigido, aumenterebbe soltanto la quota fìdi “amiche”, “favorite” e “figlie di” che già occupano i pochi posti di vertice.
Credo sia meglio incentivare la crescita delle donne in azienda, e per fortuna sembra che lo si cominci a capire.
Non è una sorpresa che uno dei moderni indicatori di progresso sia la partecipazione delle donne alla vita pubblica e lavorativa. In Italia abbiamo una valanga di donne giovani e non che hanno molto da dare in termini di professionalità ed energia: aiutiamole dando loro non solo più strutture per gestire la famiglia, ma anche una spinta al superamento di modelli culturali vecchi e perdenti.
Io ho lavorato molti anni in istituzioni anglosassoni dove molto pragmaticamente uomini e donne erano considerati “risorse” in un sistema meritocratico, e si era capito che il costo di perdere donne di talento e con esperienza era sicuramente superiore a quello di essere un po’ più “rosa”.
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