Chi ad agosto non è andato in vacanza, preferendo prendersi una pausa in altri periodi dell’anno, non si è certo annoiato: se ne sono viste di cose, per citare la grande opera cinematografica. Quello che segue è il nostro riepilogo del mese, utile per riannodare i fili prima della piena ripresa di settembre.
Qualcuno ha già detto “Mamma li turchi”?
La lira turca ha perso il 40% del suo valore rispetto al dollaro dall’inizio dell’anno e quasi il 24% in un mese (con effetti sulle divise emergenti più fragili come il peso argentino e il rand sudafricano). Cosa è successo? Niente di che, è solo deflagrata la crisi valutaria turca.
A fare da detonatore è stato l’inasprirsi dello scontro diplomatico – finora irrisolto – fra Turchia e Stati Uniti sulla detenzione del pastore americano Andrew Brunson per presunti fatti e vicende legati al tentativo di golpe del 2016. Uno scontro nel quale l’amministrazione Trump sta usando anche lo strumento delle sanzioni e dei dazi.
I tagli al rating turco da Moody’s e S&P
L’agenzia Moody’s a metà agosto ha abbassato il rating della Turchia a Ba3, con un outlook negativo, mentre S&P è passata a BB- da B+, portando il rating alla categoria highly speculative. Poi, a fine mese, Moody’s ha rivisto in senso peggiorativo la valutazione su 20 istituzioni finanziarie, di cui 18 banche e due compagnie finanziarie: secondo l’agenzia, le banche turche sono indebolite dalla loro dipendenza dai finanziamenti in valuta estera.
Il 29 agosto la banca centrale turca ha annunciato di essersi messa in moto, raddoppiando i limiti di prestito delle banche per le transazioni overnight (ma si parla di dimissioni del vice governatore della banca centrale).
E il ministro di famiglia si asciuga la fronte
Una delle immagini dell’estate 2018 che resterà a futura memoria è quella, scattata dall’Ansa e ripresa da List, che ritrae il ministro delle Finanze turco Berat Albayrak – genero del presidente Erdogan – che si deterge la fronte con un fazzoletto durante la presentazione, venerdì 10 agosto, del “modello economico”. Tale modello prevede che nel 2019 la Turchia crescerà di almeno 3-4 punti percentuali, abbastanza per bilanciare il deficit del Paese. Punto interrogativo, aggiungiamo noi.
Tragedia a Genova, Atlantia nel mirino
Nella tarda mattinata della vigilia di Ferragosto, a Genova, mentre una trentina di automobili e tre mezzi pesanti vi transitavano sopra e alcuni operai dell’azienda municipale vi lavoravano sotto, un tratto del Ponte Morandi, facente parte del tracciato della A10, ha ceduto ed è venuto giù: oltre 40 le vittime.
La gestione del Ponte è affidata ad Autostrade per l’Italia, società controllata da Atlantia, che a sua volta è quotata a Piazza Affari. Dopo il crollo del Ponte Morandi, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato la volontà di revocare alla società la concessione per la gestione di tutta la rete autostradale.
Gli investitori si sono messi in fuga: Atlantia ha registrato una perdita di oltre 5 miliardi di capitalizzazione in soli due giorni e nella giornata successiva al disastro ha chiuso giù del 22,26% a 18,3 euro per azione, i minimi dall’autunno 2014.
Scintille tra Roma e Bruxelles sul bilancio
La cavalcata dello spread – la differenza tra il rendimento del titolo di Stato decennale italiano e il corrispondente titolo tedesco, universalmente riconosciuta come misura del grado di rischio Italia – è iniziata il primo agosto ed è durata, tra rialzi e ribassi, tutto il mese.
Da 230 punti base si è abbastanza rapidamente passati a 250, poi a 280, fino a lambire i 290 (andiamo a chiudere agosto attorno ai 280). Le incognite sulla manovra autunnale e sulla Legge di Bilancio 2019, sotto la cappa pesante delle tensioni tra Roma e Bruxelles (che ci chiede di abbassare il debito e di non sforare il 3% del deficit/PIL), hanno alimentato le vendite sui nostri titoli e fatto salire il rendimento, allargando lo spread.
Stati Uniti-Cina, il lungo confronto
Le trattative sul commercio tra Stati Uniti e Cina proseguono. Sul finire di agosto, una delegazione di Pechino si è recata su invito a Washington per dialogare con funzionari americani, ma da più parti è stato fatto notare come le figure coinvolte fossero di secondo piano, quindi nessuno si aspettava la cosiddetta “svolta decisiva”. Riuscirà il presidente Trump ad arrivare a un accordo entro le elezioni di metà mandato?
Messico c’è, Canada work in progress
Intanto il 27 agosto Trump ha annunciato un “accordo davvero buono” con il Messico, che non si chiamerà più NAFTA ma, appunto, “accordo USA-Messico”. E il Canada, che era il terzo pilastro del NAFTA? Work in progress.
Non c’è solo la lira turca
Dal 20 agosto il bolivar venezuelano è stato sostituito dal bolivar soberano a seguito della riconversione monetaria entrata in vigore in Venezuela. Ad agosto hanno avuto il loro momento anche lo yen, con una fase di apprezzamento in scia alla rinnovata avversione al rischio, e il dollaro USA, che ha reagito alle perplessità espresse da Trump sull’operato del numero uno della Fed Jerome Powell (non sufficientemente accomodante) e alle notizie relative a due ex collaboratori del presidente, Michael Cohen e Paul Manafort, rimasti coinvolti in due vicende giudiziarie. Notizie che hanno rimesso in circolazione la parola impeachment.
Sì a graduali rialzi dei tassi
Al di là delle critiche di Trump, al simposio di Jackson Hole del 24 e 25 agosto il presidente della Federal Reserve Powell ha ribadito di ritenere appropriati graduali rialzi dei tassi (il prossimo nel mese di settembre). Un’economia in buona forma (la seconda lettura del PIL ne colloca l’aumento nel secondo trimestre dell’anno al +4,2%) e un’inflazione sotto controllo sembrano dargli ragione.
La Grecia è tornata in pista
Il 20 agosto la Grecia è uscita dal programma di aiuti internazionali cui era sottoposta dal 2010 per via della crisi economica. Aiuti disposti dalla “Troika”, l’organismo composto da Commissione UE, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale, a fronte di una politica di austerità da più parti fortemente criticata in questi otto anni.
Argentina con l’acqua alla gola
La nota dolentissima con cui il mese si è chiuso è arrivata dall’Argentina. Qui, la banca centrale ha alzato di nuovo i tassi di interesse, dopo l’incremento di ben 500 punti base del 13 agosto. Il 30 del mese l’istituto ha operato un nuovo aumento del 15%.
Ora i tassi sono al 60%. Tutto a causa della franata del peso argentino (la valuta ha iniziato a essere scambiata liberamente nel 2015): gli investitori hanno reagito alla sollecitazione rivolta dal presidente argentino Mauricio Macri al Fondo Monetario Internazionale di una più rapida erogazione degli aiuti previsti nel piano triennale da 50 miliardi di dollari varato a giugno.