Punti chiave
- Trade war estiva
Neanche ad agosto le tensioni commerciali e geopolitiche si sono allentate: reintrodotte le sanzioni all’Iran dopo la sospensione del 2015 voluta da Barack Obama; colpita da nuove sanzioni anche la Russia. Nuovi dazi anche per la Turchia, con crollo della lira turca (-40% contro il dollaro USA da inizio anno). - Emergenti in difficoltà
Russia e Turchia a parte, le pressioni maggiori si sono riscontrate in America Latina: in Brasile la valuta perde colpi e sale il rischio di credito a ridosso delle incerte elezioni di ottobre; l’Argentina, dopo aver chiesto aiuto al FMI, è alle prese con un piano di consolidamento per riacquistare la fiducia dei mercati; infine il Venezuela di Maduro non riesce ad uscire dalla spirale dell’inflazione (l’1.000.000% annuo secondo il FMI) che sta piegando il Paese. - Italia rimandata, Grecia riammessa e Regno Unito in stand-by
Italia sotto osservazione: la BCE evidenzia come sia il Paese dell’Eurozona (esclusa la Grecia) con il più alto livello di squilibri macroeconomici. L’agenzia di rating Moody’s ha comunicato di aver tagliato le stime di crescita del PIL per il prossimo biennio all’1,2% contro il precedente +1,4%; analoga la conclusione dell’OCSE. Le incognite sulla manovra autunnale e sulla Legge di Bilancio 2019 certo non aiutano. Con la conclusione della terza e ultima tranche di aiuti è intanto finito il commissariamento della Grecia da parte di UE-BCE-FMI: dopo otto anni Atene torna a finanziarsi sui mercati. Stallo nel Regno Unito: la deadline dei negoziati per arrivare alla Brexit con un accordo condiviso è fissata per il 17 ottobre, ma tra Bruxelles e Londra non c’è ancora niente di deciso e le voci di uno slittamento a novembre si fanno sempre più insistenti. Obiettivo comune: evitare la hard Brexit.
Grafico del mese
Le difficoltà dei Paesi Emergenti stanno venendo alla ribalta con una certa importanza in questo 2018. Dopo un 2017 stellare, la combinazione dollaro USA e forte rialzo dei tassi della FED ha avuto ripercussioni più o meno intense su questi Paesi, in un contesto globale già minacciato dalle tensioni della guerra commerciale.
Quali sono i Paesi più vulnerabili? Per rispondere a questa domanda abbiamo considerato due indicatori, cioè la posizione finanziaria netta (ovvero la differenza tra le attività e le passività estere detenute nel paese) e il saldo delle partite correnti (la differenza tra le esportazioni e le importazioni). In base a questi due indicatori, Polonia, Colombia e Turchia sono i Paesi più sensibili alle dinamiche esterne.
Commento generale
Il mese di agosto ha punito prevalentemente i Paesi Emergenti e l’Italia. Il nostro Paese soffre una crisi di credibilità che solo un Documento di Economia e Finanzia (DEF) ragionevole può arginare.
Per darvi il polso della situazione, teniamo a mente questi numeri: stando ai dati riportati sul sito lavoce.info1, tra maggio e giugno gli investitori esteri hanno liquidato le loro posizioni per circa 76 miliardi. Nell’estate del 2011, a ridosso della crisi del Governo Berlusconi e dell’arrivo di Monti, il deflusso di capitale fu di 50 miliardi circa. L’aumento dello spread ed il calo dell’indice FTSE MIB degli ultimi mesi è il frutto di tale perdita di fiducia; ma la situazione potrebbe peggiore se il Governo decidesse di andare allo scontro con l’Europa presentando un DEF con un deficit lontano dal limite del 3,0% – cosa che probabilmente spingerebbe alle dimissioni il ministro Tria. Al momento attribuiamo a questo scenario una bassa probabilità, più per questioni di opportunità politica della Lega che altro: infatti, a maggio si vota per le elezioni europee e, considerando l’aria che tira, il prossimo Parlamento europeo ha buone probabilità di essere più amichevole con Salvini.
Inoltre, lasciando da parte le beghe italiane, il contesto economico rimane complessivamente favorevole. La crescita economica infatti, ha perso d’intensità, ma rimane stabile. Le pressioni inflazioniste, al netto della risalita del petrolio, rimangono modeste e le banche centrali dei Paesi Sviluppati possono continuare a riportare i tassi d’interesse a breve su livelli umani senza dover correre. Infine, sul fronte commerciale, la Trade War di Trump tutto sommato non ha (ancora) causato grosse vittime.
Per quanto riguarda gli Emergenti, la situazione è eterogenea, ma complessivamente ci sembrano attrezzati ad affrontare l’attuale crisi valutaria. Il contesto positivo e il recupero del petrolio dovrebbe ridare un po’ di ossigeno. Inoltre, se focalizziamo la nostra attenzione su Cina, Taiwan, Corea del Sud e l‘India (60% dell’indice MSCI EM), le pressioni politiche e valutarie si fanno meno pesanti.
Una breve riflessione sulla situazione in Grecia. Con la conclusione del piano di aiuti della Troika, il Paese di Tsipras è nuovamente in pista. In che condizioni?
Alcuni indicatori macroeconomici raccontano una storia positiva (bilancio pubblico in surplus, e PIL atteso in crescita costante e superiore al 2% nel prossimo biennio), mentre altri descrivono un Paese ancora in difficoltà. Infatti la produttività stenta a ripartire e a livello sociale c’è ancora molta strada da fare (la disoccupazione al 19% è la più alta nella zona Euro). Per questo motivo, l’accompagnamento delle istituzioni europee non è del tutto terminato: i ministri delle Finanze dell’Eurozona hanno esteso di 10 anni la scadenza del debito greco e hanno approvato un nuovo prestito da 15 miliardi di euro, utile a garantire al Paese ellenico morbido ritorno sui mercati. Le note positive arrivano dalla Borsa di Atene: negli ultimi due anni ha registrato una performance media annua del 13% (contro il 7% dell’EuroStoxx 50) e le valutazioni risultano ancora positive. Il rapporto Prezzo/Utili del Paese è ancora lontano dalla sua media di lungo periodo: si tratta dell’unico mercato in Europa in cui è ancora presente questa dinamica.
Valutazione per asset class
Complessivamente le valutazioni generali non hanno particolarmente risentito del movimentato mese di agosto. Molto rumore, insomma.
La correzione registrata dai mercati azionari europei ha contribuito a migliorare le valutazioni dei mercati più periferici (Italia, Spagna e Grecia), nonostante il fattore momentum risulti particolarmente indebolito. Positiva rimane la nostra opinione sull’Asia Pacifico, in particolare sul Giappone, dove il Quantitative Easing di Kuroda prosegue.
La corsa dell’azionario statunitense prosegue, alimentata dalla positiva dinamica degli utili – delle ultime trimestrali e quelli attesi – nonostante inizi a risultare sempre più un mercato caro rispetto alla propria media storica. A livello fattoriale, migliora la dinamica delle società Value, meno sensibili alla corsa dei settori più giovani e vivaci, come il tecnologico.
Dal fronte obbligazionario, rimaniamo positivi sul versante statunitense rispetto a quello dell’Eurozona, soprattutto dal punto di vista Corporate, dove tuttavia il continuo ampliamento degli spread ci impone di monitorare con attenzione la dinamica del settore High Yield e la qualità dell’Investment Grade.
I portafogli
Man mano che la Borsa sale e il ciclo economico si stiracchia, si amplia il coro di voci che vedono imminente una fase di Bear Market. Se poi ci mettiamo rischio Italia, Brexit, elezioni di Mid-term Usa, crisette varie dei Paesi Emergenti, la voglia di ridurre gli attivi rischiosi aumenta. Ma poi guardi i dati chiave e ti rendi conto che:
- le valutazioni fondamentali dei mercati azionari sono ancora accettabili e la crescita degli utili può sostenere le Borse;
- il momentum azionario non si discute;
- i tassi d’interesse reali a breve/medio termine rimangono ampiamente negativi;
- l’oro continua a scendere.
Sicuramente in questo momento Italia, Grecia ed i mercati Emergenti sono il nostro grande cruccio, ma dal momento che attribuiamo una bassa probabilità a scenari da panico, preferiamo mantenere le posizioni, che tutto sommato rimangono modeste e sono rette da buoni fondamentali.
[accordion title=”Portafogli Tematici”]Non abbiamo fatto cambi di asset allocation.
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[accordion title=”Portafogli Tattici”]
Non abbiamo fatto cambi di asset allocation.
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