Uno dei punti di debolezza del sistema bancario emersi nel corso della crisi del debito dell’Eurozona è quello dei cosiddetti “crediti spazzatura”, in gergo tecnico chiamati Non Performing Loans e in sintesi noti anche come NPL.
Le autorità europee, con la BCE in testa, stanno provando a regolamentare e gestire quello che è il vero tallone d’Achille delle nostre banche: infatti l’elevato livello di NPL impatta negativamente sulla capacità di erogazione del credito all’economia reale e di conseguenza sulla profittabilità della banca stessa.
Nelle ultime settimane, prima la Commissione Europea e poi il Comitato di Vigilanza della BCE, si sono espressi facendo il punto su come i nostri istituti finanziari dovrebbero gestire questi crediti “radioattivi”.
Il messaggio che emerge dai rispettivi comunicati è che il tempo sta per scadere: entro i prossimi sette anni (in base alla versione della BCE, mentre salgono a otto nella richiesta della Commissione) deve essere garantita la totale copertura finanziaria dei NPL. Si parla di una copertura al 100%.
Con una precisa distinzione: per i crediti non garantiti il tempo utile si accorcia a 2 anni, mentre per quelli garantiti la timeline stilata dalla BCE prevede una copertura crescente a partire dal quarto fino al settimo anno.
Tali indicazioni non sono vincolanti ma rappresentano le linee guida della BCE e dovranno poi trovare opportuna applicazione nelle singole realtà aziendali. Perciò niente panico, ogni banca potrà essere gestita in modo diverso.
In ogni caso, la roadmap è chiara: occorrerà accantonare nuovo capitale a garanzia oppure vendere questi crediti a società specializzate. Ma quanto capitale bisognerà accantonare? E a quale prezzo (s)vendere i crediti “spazzatura”?
L’EBA (European Banking Authority) delinea un quadro che pare a senso unico: il CET1 (indicatore per eccellenza dello stato di solidità di una banca) è atteso in diminuzione in media di 56 punti base – a livello europeo – con un effetto depressivo sugli utili non distribuiti del 10% nei prossimi sette anni.
Gli NPL in Europa
Date queste premesse, vediamo qual è oggi lo stato di salute del sistema bancario nell’Eurozona, sempre in relazione alla questione degli NPL. Per farlo abbiamo deciso di utilizzare due indicatori che, seppure con le dovute limitazioni, permettono di descrivere bene la realtà attuale.
- Il Coverage Ratio. Questo indicatore permette di individuare il livello di copertura possibile, calcolato come rapporto tra il totale degli accantonamenti, cioè il capitale “messo da parte” da una banca, e la massa lorda degli NPL1
- Il Texas Ratio. Questa metrica (nella sua versione base) mette in relazione la quantità di NPL in pancia a una banca con il totale del suo patrimonio netto, consentendo quindi di capire se la quantità di crediti in sofferenza è ben coperta dal solo capitale dell’istituto. Se l’indice è inferiore a 1 (o 100%) il capitale della banca è in grado di coprire l’ammontare di NPL, in caso contrario la situazione merita un po’ di attenzione.
Se complessivamente il livello di copertura è relativamente omogeneo (mediamente intorno al 41%), con il solo sistema bancario francese a fare da outsider, la suddivisione dei Paesi secondo il Texas Ratio è ben più marcata: per i Paesi periferici questo indicatore si attesta in media all’89%, contro il 20% dei Paesi core. I crediti “spazzatura” pesano, e non poco, sui bilanci delle banche di questi Paesi.
E in Italia?
Per quanto riguarda il nostro Paese, è significativo evidenziare un ulteriore dato: dei 759 miliardi di euro di NPL del Vecchio Continente, il 26% risulta made in Italy. Siamo infatti attorno ai 196 miliardi di euro, in assoluto la quota più alta.
Leggere questo dato insieme agli (elevati) valori di NPL Ratio e Texas Ratio (inferiori solamente a Grecia e Portogallo) evidenzia come sia fondamentale affrontare con attenzione questa delicata questione: a giovare di un sistema bancario più solido sarà in primis l’indebolita economia reale del nostro Paese.
Prepararsi al 2019
Una questione che si fa ancora più urgente se consideriamo il contesto economico-finanziario nel quale si troverà il nostro Paese nel prossimo biennio. La crescita per il 2019 è attesa in rallentamento al +1,2% annuo dal +1,5% stimato per quest’anno, mentre da Francoforte arriveranno almeno due novità di assoluto rilievo.
Innanzitutto, il primo rialzo dei tassi di interesse da parte della BCE, i cui riflessi sul sistema bancario che non tarderanno a farsi sentire, e poi la scadenza del mandato di Mario Draghi alla presidenza della banca centrale (31 ottobre 2019), tenendo conto che a sostituirlo potrebbe essere il “falco” Jens Weidmann (oggi a capo della Bundesbank), in un contesto in cui comunque tutte le principali autorità monetarie mondiali continueranno a ritirare – in maniera graduale, eh – le misure straordinarie messe in campo finora per aiutare le rispettive aree economiche.
Per giunta il 2019 sarà l’anno della Brexit (29 marzo 2019). Alla luce di tutto ciò, sarà fondamentale per il nostro sistema bancario arrivare al prossimo anno nella forma migliore possibile, cioè avendo sciolto una volta per tutte il nodo scorsoio degli NPL.
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1. È importante precisare che un basso valore di questo rapporto non implica (per forza) una scarsa capacità di accantonare capitale: può infatti essere la spia di un solido e rigoroso sistema creditizio, che non necessita di coperture.