Ricordate il dibattito sulla destinazione del TFR, il Trattamento di Fine Rapporto dei lavoratori dipendenti? La questione si è posta per la prima volta nel gennaio 2007, quando, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 252/2005, i lavoratori si sono trovati di fronte alla scelta se lasciare il TFR in azienda oppure investirlo in un fondo pensione negoziale (il cosiddetto secondo pilastro della previdenza italiana).
Fonte: “La Ri-Evoluzione delle Pensioni”, State Street Global Advisors
Le cose si sono complicate ancora di più quando la legge Finanziaria 2015 ha introdotto, in via sperimentale fino al 30 giugno 2018, la possibilità di richiedere l’erogazione mensile del TFR in busta paga, sottoponendolo alla tassazione ordinaria. Ma questo è un altro discorso, che affronteremo in un’altra sede. Per ora concentriamoci sulla scelta tra azienda e fondo pensione negoziale.
A distanza di 10 anni dall’entrata in vigore del decreto, quale è stata la scelta migliore?
La simulazione
I numeri parlano chiaro. Il Sole 24 Ore, grazie ai dati forniti dal fondo pensione territoriale Solidarietà Veneto, ha realizzato una simulazione analizzando il portafoglio di un investitore che 10 anni fa ha deciso di aderire a un fondo negoziale, confrontandolo con il guadagno che lo stesso investitore avrebbe realizzato decidendo invece di lasciare il TFR in azienda.
Ebbene, il nostro investitore si trova oggi con un portafoglio decisamente più ricco di quello che avrebbe ottenuto se avesse fatto affidamento solo sulla rivalutazione del TFR. Naturalmente il rendimento ottenuto varia a seconda del comparto scelto all’interno del fondo negoziale: si va dal più rischioso (dinamico) a quello più prudente (nel caso di Solidarietà Veneto si chiama “TFR Garantito” e mira a conseguire rendimenti pari o superiori al tasso di rivalutazione del TFR garantendo la restituzione del capitale investito e un rendimento triennale netto almeno pari alla rivalutazione netta del TFR in azienda).
Ricordiamo che alle posizioni dei fondi pensione contribuiscono non solo il trattamento di fine rapporto, ma anche il contributo volontario del lavoratore e il conseguente contributo del datore di lavoro, che è tenuto a erogare – in base agli accordi collettivi – solo se il lavoratore opta effettivamente per il versamento di un contributo volontario.
Di seguito la simulazione, calcolata ipotizzando un TFR maturato pari a 19mila euro, che funge da capitale di partenza. I dati si riferiscono al rendimento maturato sul capitale nel periodo 2007-fine 2016.
Vantaggi e svantaggi a confronto
In effetti, dati alla mano, i fondi negoziali risultano essere una scelta più vantaggiosa rispetto a quella lasciare il TFR maturando in azienda. Analizziamo pro e contro di ogni scelta (fonte: “La Ri-Evoluzione delle Pensioni”, State Street Global Advisors):
I fondi pensione complementari
I pro
- Gli attivi sono tenuti separati dal datore di lavoro;
- opportunità di partecipare al rialzo dei mercati, quindi possibile aumento dei risparmi oltre la formula fissa del TFR (+3,3% vs. +2,2% p.a. negli ultimi 10 anni);
- i contributi personali sono deducibili fino ad un importo massimo di 5.165,57€ ogni anno;
- a livello fiscale, le prestazioni pensionistiche sono assoggettate a una ritenuta a titolo d’imposta pari al 15%, con una riduzione dello 0,3% per ogni anno di partecipazione dopo il 15esimo (con un minimo del 9%);
- maggiori opportunità di investimento;
- benefici dovuti alla diversificazione degli asset;
- gli aderenti decidono l’importo del proprio contributo e la tempistica dei pagamenti;
- più conveniente rispetto ad altri strumenti di risparmio (come i fondi UCITS) avendo costi più simili a quelli di un prodotto istituzionale rispetto a quelli di un prodotto retail.
I contro
- I proventi possono aumentare o diminuire, a seconda dell’andamento dei mercati;
- i proventi dipendono principalmente dal livello dei contributi e dai rendimenti dell’investimento;
- gli aderenti possono accedere ai propri risparmi previdenziali prima della pensione solo in casi limitati e previsti dalla legge.
Il TFR in azienda
I pro
- Benefici garantiti: tasso di crescita annuo dell’1,5% + 75% del tasso di inflazione.
I contro
- Il tasso di crescita è più basso rispetto ai potenziali rendimenti degli investimenti;
- i lavoratori non possono apportare contributi aggiuntivi.
Fondi negoziali, questi sconosciuti
Eppure, stando ai dati forniti dalla COVIP (la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione), l’adesione a fondi negoziali è ancora pratica poco diffusa in Italia: ad oggi, questi strumenti contano infatti circa 2,8 milioni di iscritti.
1. Per i PIP “vecchi” e i fondi pensione preesistenti i dati sono riferiti alla fine del 2016.
2. Nel totale si include FONDINPS. Sono inoltre escluse le duplicazioni dovute agli iscritti che aderiscono contemporaneamente a PIP “vecchi” e “nuovi”: a fine 2016 circa 41.000 individui, di cui 28.000 lavoratori dipendenti.
Gli italiani snobbano i fondi negoziali
Come sottolinea Assofondipensione, mai come oggi assume rilevanza l’adesione al secondo pilastro: le recenti riforme della previdenza pubblica (con il definitivo passaggio al regime contributivo), l’invecchiamento della popolazione e il mercato del lavoro sempre più sono tutti fattori che incidono negativamente sul sistema previdenziale pubblico. È indispensabile correre ai ripari.
Ma allora perché gli italiani tendono a non investire nelle forme di previdenza complementare? La risposta suona ormai come un ritornello: essenzialmente manca l’educazione finanziaria. L’ennesima testimonianza arriva da una ricerca condotta nel 2017 da IPSOS e Prometeia su 1.367 individui di età compresa tra i 18 e i 74 anni, con l’obiettivo di capire le esigenze di investimento e protezione delle famiglie italiane, la domanda di prodotti di risparmio e il loro rapporto con il mondo della finanza.
Ne è emersa una palese mancanza di conoscenza riguardo ai benefici dei fondi pensione complementari, in particolare tra i più giovani, con il 75% degli under 35 che ritiene di avere nozioni limitate o inesistenti sulle pensioni.
Di più. Alla richiesta di motivare la scelta di non investire in fondi pensione complementari, la maggior parte degli intervistati ha citato i costi troppo alti. Eppure questo motivo appare infondato, dato che i costi per i fondi pensione integrativi sono meno di un quarto di quelli dei fondi comuni e di altri prodotti pensionistici privati.
Queste risposte, insomma, sono un altro sintomo di scarsa conoscenza.
Fonte: Prometeia — IPSOS, Wealth Insights (aprile 2017)
Che fare?
Come sempre, il primo passo è la consapevolezza. Tanto per cominciare, è importante che le persone conoscano il probabile livello di pensione che avranno maturato a fine carriera, in modo da prendere coscienza della situazione e da potersi muovere di conseguenza preparandosi con risparmi privati.
In secondo luogo, sarebbe bene informarsi a fondo sulle alternative disponibili: spesso, la scelta di lasciare il TFR in azienda è dettata da un misto di pigrizia e non conoscenza dell’alternativa. Come diciamo sempre, un risparmiatore informato è un risparmiatore migliore.
Maurizio / Marzo 31, 2019
Salve mi chiamo Maurizio ho 38 anni e mi sono da un piccolo paesino siciliano trasferito a Milano , lavoro in una azienda di imballaggi industriali e dopo 6 mesi di lavoro l azienda mi ha dato un foglio dove destinare il mio tfr. Visto che non ho mai avuto a che fare con il tfr perché sono stato lavoratore autonomo e anche sentendo un amico che il tfr e meglio se lo lascio come fondo pensione complementare invece che in azienda. Vorrei sapere un vostro parere come è meglio fare…. grazie per la vostra disponibilità…. cordiali saluti….
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Maria Paulucci / Aprile 1, 2019
Caro Maurizio,
in linea di massima, a nostro avviso la scelta più saggia è avviare il prima possibile l’accantonamento di parte dei tuoi risparmi (bastano anche 50 o 100 euro al mese, per cominciare), in modo tale da poter contare, in futuro, durante gli anni della pensione, su un reddito aggiuntivo rispetto all’assegno pensionistico pubblico.
Questa entrata complementare ti aiuterebbe a mantenere il tuo tenore di vita, riducendo il gap tra l’ultimo stipendio e, appunto, l’assegno pensionistico pubblico.
Ora, questo accantonamento si può costruire attraverso un fondo pensione chiuso, che è quello al quale si può destinare il TFR, oppure con un fondo pensione aperto, un PIP o anche un Piano di Accumulo.
Sono tutte opzioni che abbiamo già riassunto in questo nostro precedente post.
Per quanto riguarda la tua situazione particolare, ti consigliamo comunque di parlarne con un esperto, magari sentendo più “campane”: ok quindi il consulente della tua banca, ma anche, magari, un consulente finanziario autonomo, giusto per avere una panoramica più ampia.
In bocca al lupo e continua a seguirci, perché sono tutti temi sui quali torneremo.
Grazie intanto per averci scritto!
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Paolo Gavardi / Aprile 25, 2019
Bella analisi. Credo che non ci siano dubbi sul miglior rendimento dei fondi pensione, strumento che si è rivelato particolarmente positivo. Però vorrei aggiungere un altro elemento di giudizio. Il TFR in azienda ha il grosso pregio di essere ottenuto dal lavoratore in un’unica soluzione, mentre il montante del fondo pensione almento per metà deve essere convertito in rendita. Quindi, mentre il TFR in azienda può essere la somma per realizzare un sogno a lungo coltivato (casa per i figli, etc.), il fondo pensione diventa solo una integrazione alla pensione
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Michele / Maggio 21, 2019
L’idea di investire il mio TFR in borsa su titoli e obbligazioni che non conosco e di pagare commissioni ad una terza società… non mi entusiasma. Preferisco tenermi il tfr in azienda con tasso basso ma SICURO! e protetto dall’inflazione.
Se ho un pò di soldi compro dei btp,oppure faccio dei buoni fruttiferi postali.
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Enrico / Giugno 13, 2020
Faccio anch’io lo stesso ragionamento. Gradirei che lo scrittore di questo articolo provasse a smontare il nostro ragionamento dato che ci definiscono privi di “educazione finanziaria”. Grazie
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ennio rossi / Agosto 14, 2019
il Tfr investito in fondi pensione puo’ essere smobilitato dopo 8 anni in caso di acquisto prma casa?
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Diana Bin / Autore / Febbraio 18, 2020
Buongiorno Ennio,
sì, in caso di ristrutturazione o acquisto della prima casa si può smobilitare fino al 75% dell’importo complessivo maturato, ma non prima che siano trascorsi 8 anni dall’iscrizione al fondo (o a un altro fondo di previdenza complementare, se è stato fatto un trasferimento della posizione).
Dice la Covip: “Per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa di abitazione per sé o per i figli si può ottenere fino al 75% della posizione individuale maturata. La richiesta può essere inoltrata soltanto dopo otto anni di partecipazione alla previdenza complementare”.
Un saluto,
Diana
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agostino vincenzi / Settembre 20, 2019
buongiorno
perché non aggiungete nei pregi che lasciare i soldi nel tfr c’e’ quello di avere indietro il 100% dei soldi maturati al momento del licenziamento?
perché non aggiungete nei difetti del mettere i soldi nei fondi pensione c’e’ quello che i soldi ve li danno indietro con il contagocce mensile a meno di non avere gravi problemi di salute ( o problemi di mattone) ?
grazie
cordiali saluti
Agostino Vincenzi
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Maria Paulucci / Settembre 24, 2019
Caro Agostino,
concorderà che la pensione è un obiettivo di lungo termine. Proprio per questo, come tante volte abbiamo scritto e ribadito, i soldi che accantoniamo per tale obiettivo sono esposti agli effetti dell’inflazione, effetti che un investimento sensato in un fondo pensione può attutire.
Inoltre, “sottrarre” al risparmiatore la disponibilità del denaro a meno che non sia strettamente necessario (malattie, acquisto prima casa, eccetera) – che è il cosiddetto “risparmio forzoso” – non è un difetto, bensì un grosso pregio: ci aiuta a non cedere alla tentazione di andare a intaccare il gruzzolo che stiamo coltivando per la pensione.
In conclusione, posso dirle questo: noi, anche con i nostri post successivi a quello che lei ha commentato, vogliamo fornire ai lettori e alle lettrici tutti gli elementi affinché addivengano a una scelta, che non sia meramente quella di seguire la strada più battuta per inerzia o per chissà quale preconcetto. Poi, naturalmente, ognuno prende le sue decisioni.
Grazie, un saluto!
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Michele / Febbraio 10, 2020
michele
L°azienda che mi assunto da pochi giorni mi chiede dove voglio far versare il mio tfr che maturerò nei prossimi anni visto da quanto ho capito se non do una risposta entro sei mesi mi verrà versato su un fondo che si chiama Previoanbiente .
Avete da darmi qualche informazioni.
Grazie.
Michele
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Diana Bin / Autore / Febbraio 11, 2020
Ciao Michele,
Previambiente è il fondo negoziale di categoria previsto dal tuo contratto: in generale, noi riteniamo che i fondi negoziali siano una scelta più vantaggiosa rispetto a quella di lasciare il TFR in azienda.
Questo per vari motivi (ti riporto quanto scritto nel post):
Gli attivi sono tenuti separati dal datore di lavoro;
il fondo investe sui mercati e, quindi, può partecipare a eventuali rialzi, ma anche subire ribassi. Statisticamente, negli ultimi 10 anni, i fondi negoziali hanno comunque guadagnato di più rispetto alla formula fissa del tfr lasciato in azienda
Nel caso del fondo negoziale, potresti decidere di integrare i versamenti con un contributo volontario e, se lo fai, il datore di lavoro è tenuto a erogare a sua volta un proprio contributo aggiuntivo
il fondo negoziale ha costi più bassi rispetto ad altri strumenti di risparmio retail (come i fondi UCITS)
Il Tfr lasciato in azienda invece ha un tasso di rivalutazione annuo fisso dell’1,5% + 75% del tasso di inflazione.
Speriamo di esserti stati utili!
In bocca al lupo per il tuo lavoro,
Diana
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Michele / Febbraio 15, 2020
Grazie Diana , vedrò come posso muovermi per il futuro.
Cordiali saluti.
Michele
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Chiara / Febbraio 16, 2020
Buonasera,
mi chiamo Chiara e sono stata assunta a luglio dello scorso anno in un’azienda tessile con il mio primo contratto (a tempo determinato).
La scorsa settimana mi è stato consegnato un foglio per decidere dove lasciare il mio TFR, se in azienda oppure nel fondo Previmoda.
Ho letto le informazioni che ho trovato sul sito ma alcune cose non mi sono del tutto chiare.
Se fosse possibile, mi piacerebbe avere alcune delucidazioni.
In caso di licenziamento/dimissioni potrei riscattare solo il TFR oppure anche la posizione complessiva, quindi compreso il contributo dell’1,5% versato per fondo pensionistico? Con quali tempistiche?
E in tal caso, potrei riscattarlo sia nel caso in cui rimanessi nello stesso settore sia in caso cambiassi totalmente settore e quindi Previmoda non fosse più il mio Fondo di riferimento?
Immagino inoltre esista la possibilità che Previmoda fallisca, in tal caso cosa accadrebbe? Ci rimetterei sia il TFR sia il contributo da me erogato?
Vi ringrazio anticipatamente e vi porgo i miei saluti.
Chiara.
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Diana Bin / Autore / Febbraio 18, 2020
Ciao Chiara,
grazie per il tuo commento. Fatta la doverosa premessa che, tendenzialmente, il senso di affidare parte dei propri risparmi a un fondo pensione è quello di tenere da parte quei soldi proprio per gli anni della pensione – quindi senza intaccare il capitale strada facendo – proverò a risponderti punto per punto.
“In caso di licenziamento/dimissioni potrei riscattare solo il TFR oppure anche la posizione complessiva, quindi compreso il contributo dell’1,5% versato per fondo pensionistico? Con quali tempistiche?”
Secondo la normativa, se scegli di destinare il tuo TFR a un fondo di previdenza complementare, non avrai diritto a ricevere la prestazione al termine del rapporto lavorativo, ma solo al raggiungimento dei requisiti pensionistici.
È comunque possibile chiedere delle anticipazioni, trasferire o riscattare la propria posizione (non solo il TFR, ma tutta la posizione maturata, compresi i tuoi contributi e quelli del datore di lavoro) a determinate condizioni.
Nello specifico, il riscatto totale del 100% della posizione maturata è possibile in caso di:
· Mobilità
· Licenziamento per giusta causa
· Fallimento dell’azienda
· Dimissioni volontarie
· Cambio di contratto
· Promozione a dirigente
· Fine del tempo determinato
· Raggiungimento dell’età pensionabile con meno di 5 anni di iscrizione al fond
· Invalidità permanente con la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo
· Cessazione dell’attività lavorativa con l’inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi
· Decesso dell’aderente, prima che siano maturati i requisiti per il pensionamento. In questo caso l’intera posizione è riscattata dai beneficiari designati o, in mancanza, dagli eredi legittimi
Dunque in caso di cessazione del rapporto di lavoro, che sia per tue dimissioni o per licenziamento, puoi chiedere il riscatto dell’intera posizione (ci sono poi altri casi in cui è possibile riscattare il 50%, è tutto dettagliato sul sito del fondo Previmoda). In ogni caso, se non vuoi perdere l’anzianità contributiva maturata – e quindi il senso di aver scelto un fondo pensione per il tuo TFR – puoi anche decidere di trasferire la tua posizione in un altro fondo, sia esso un fondo negoziale diverso da Previmoda o un qualsiasi fondo aperto (vedi la prossima risposta).
…“E in tal caso, potrei riscattarlo sia nel caso in cui rimanessi nello stesso settore sia in caso cambiassi totalmente settore e quindi Previmoda non fosse più il mio Fondo di riferimento?”
Sì. Aggiungo che, nel caso cambiassi settore, o anche solo contratto all’interno della tua azienda, potresti trasferire la tua posizione dal fondo Previmoda a un altro fondo pensione – sia negoziale sia aperto (quello che ti dicevo nella risposta precedente) . Con il trasferimento prosegui il tuo percorso previdenziale e conservi l’anzianità contributiva maturata. Il trasferimento non è tassato ed è totalmente gratuito – basta compilare un modulo, disponibile sul sito di Previmoda. Non solo: dopo due anni di iscrizione al fondo puoi decidere, volendo, di trasferire la tua posizione in un qualsiasi altro fondo pensione bancario o assicurativo – valuta però attentamente i costi e considera che in questo caso perderesti il contributo a carico dell’azienda.
… “Immagino inoltre esista la possibilità che Previmoda fallisca, in tal caso cosa accadrebbe? Ci rimetterei sia il TFR sia il contributo da me erogato?”
Su questo mi sento di tranquillizzarti, non perderesti i tuoi risparmi: le risorse dei fondi pensione negoziali sono depositate in una Banca Depositaria e, in caso di fallimento o liquidazione del fondo, i creditori non si possono rivalere sui titoli dei clienti. In altre parole, il fondo pensione non utilizza le risorse degli associati per finanziare sé stesso o altre prestazioni: il capitale dei clienti è tenuto separato da quello del fondo. In caso di “fallimento” del fondo, la Covip gli revoca l’autorizzazione all’esercizio dell’attività. A quel punto, le posizioni previdenziali dei lavoratori associati vengono trasferite, senza penalizzazioni, a un altro fondo pensione negoziale (è già accaduto negli ultimi dieci anni a due fondi pensione negoziali italiani).
Spero di aver risposto a tutti i tuoi dubbi, in bocca al lupo per il tuo lavoro e continua a leggerci!
Diana
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RobyMax1 / Marzo 16, 2020
Tutto molto chiaro…ma alla fine mancano i dati che permetterebbero una scelta consapevole.
Nel senso, dopo aver visto decine di siti che ripetono più o meno tutti le stesse cose, nessuno è riuscito a darmi un’idea di quanto sarebbe la differenza di valore accantonato dopo un certo numero di anni.
Voglio dire, confrontare sia per TFR in azienda che per fondo pensione 3 o 4 situazioni che riassumano un po’ la maggior parte delle casistiche e dire:
– con il TFR in azienda arriverai alla pensione con tot euro da parte netti
– con il fondo arriverai, considerando il trend attuale del mercato, a tot euro netti
Poi i meccanismi li sappiamo (TFR li prendi tutti, fondo solo metà ecc.), ma almeno così capiamo se in 30 anni prendo il doppio, il triplo, il 3% in più, considerando tutte le agevolazioni che ci sono in termini di tasse, deducibilità ecc.
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Diana Bin / Autore / Marzo 16, 2020
Buongiorno, grazie mille per lo spunto, lo prenderemo in considerazione!
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Stefano / Maggio 27, 2020
Se sei iscritto a forme pensionistiche complementari da una data antecedente al 29 aprile 1993 o se hai maturato una posizione individuale finale particolarmente contenuta (tale, insomma, da dar titolo a una rendita inferiore al 50 per cento dell’assegno sociale), puoi percepire la prestazione in forma di capitale per l’intero ammontare.
Ho letto su internet questa cosa ⬆️ vorrei sapere se è vera e magari se riuscite a spiegarla in modo più pratico.
Io ho iniziato a lavorare nel 1991 nel commercio e dal 2002 in un industria tessile. Se aderisco a previmoda mi pare di capire che posso scegliere di versare il 27% oppure 100% del tfr, esatto? Posso decidere anche di non versarlo proprio? Inoltre il tfr che verso è solo quello che matura dall’adesione oppure anche quello già accantonato in passato? Grazie e complimenti per l’articolo.
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Diana Bin / Autore / Maggio 28, 2020
Ciao Stefano,
il sito di Previmoda spiega che è possibile ritirare tutto sotto forma di capitale se:
Sei un lavoratore ‘vecchio iscritto’, ovvero un lavoratore che si è iscritto prima del 28/04/1993 a un fondo pensione istituito prima del 15/11/1992 e che, in seguito, hai trasferito la posizione a Previmoda.
Dunque, se tu quando hai iniziato a lavorare nel commercio nel 1991 ti sei iscritto a un fondo pensione e, successivamente, hai fatto il trasferimento della tua posizione da quel fondo pensione a Previmoda, allora sì, puoi richiedere tutto sotto forma di capitale.
Puoi farlo anche nei seguenti casi:
Se hai meno di cinque anni d’iscrizione a Previmoda, ma in questo caso ti conviene aspettare il raggiungimento del quinto anno per beneficiare della tassazione agevolata.
Se, trasformando il 70% della tua posizione in rendita, la rendita che ottieni ha un valore inferiore alla metà dell’assegno sociale. Per verificare questo requisito usa il motore Calcola la rendita. Qui, inserendo l’età e il valore della posizione al pensionamento, puoi vedere se hai la possibilità di prendere il 100% del capitale oppure devi optare per un massimo del 50%.
In tutti gli altri casi, si può richiedere o tutto in pensione complementare, come rendita da affiancare alla pensione pubblica erogata dall’Inps, oppure il capitale fino a un massimo del 50% e la restante parte in rendita.
Quanto alla tua seconda domanda, è come dici tu: se la data di prima occupazione è antecedente al 29/04/1993, puoi scegliere di versare tutta la quota di Tfr maturando (100%) oppure la percentuale minima prevista dal CCNL.
Puoi anche decidere di non iscriverti, ma sappi che attualmente i lavoratori che non esprimono alcuna scelta sulla destinazione del loro Tfr entro sei mesi dalla loro assunzione, sono iscritti in automatico dall’azienda a Previmoda.
https://previmoda.it/i-vantaggi/benefici-fiscali/
Grazie
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Stefano / Maggio 28, 2020
Quindi quella parte di tfr già accantonato all’inps(siamo 600 dipendenti) posso decidere di lasciarlo lì e decidere solo su quello nuovo che matura. Ho capito bene?
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Orazio Pennisi / Giugno 22, 2020
Salve.. Vorrei un informazione ringrazio anticipatamente chi mi saprà rispondere.. Supponiamo che l azienda dove io lavoro non versi tfr ne in azienda ne al fondo pensione e fallisca si potranno aprire vie legali? Sarà più semplice recuperarli tramite il fondo o direttamente l azienda? Grazie
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Alessandro / Novembre 5, 2020
Buongiorno, la mia esperienza con i fondi pensione è stata un po’ traumatica.
All’inizio del 2020, sono stato oggetto di una cessione di ramo d’azienda e malgrado ci sia stato un cambio al CCNL di appartenenza, clausola per la quale avrei avuto il diritto di ottenere il mio denaro, ho incontrato non poche difficoltà a riscuoterlo.
Mi sono scontrato con tutta una serie di atteggiamenti atti ad ostacolare la fuoriuscita dal fondo: mancate risposte alle mail od alle telefonate, rimpalli di responsabilità, apparente incompetenza. So solo che la situazione si è sbloccata solo dopo aver scritto al COVIP, segnalando la situazione. La mia valutazione è che destinare il proprio denaro al fondo può essere un vantaggio in termini di rendimento e di tassazione oltre che di contributo aziendale, ove previsto. Tuttavia può essere un bello specchietto delle allodole. Inutile parlare di soldi e rendimenti, quando alla meglio, per poterne disporre, devi “mangiarti il fegato”. Oltretutto l’alto turnover lavorativo a cui andiamo incontro, facilita il recupero del tfr aziendale rendendolo disponibile per investimento o godimento. Sì, vorrei spendere una parola anche per questo. Vorrei spezzare una lancia per chi decide di prendersi delle piccole soddisfazioni oggi, quando è ancora relativamente giovane e in salute, piuttosto che spendersi parte della pensione integrativa in pannolini per incontinenti o badanti che ti maltrattano; ammesso di arrivarci in pensione. Diciamo che sto dalla parte di Lorenzo il magnifico, con moderazione. Un saluto!
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Gianluca / Novembre 22, 2020
Salve, sto seguendo l argomento con interesse.
È possibile devolvere il tfr in un PAC svincolato dall età pensionabile ?
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Maria Paulucci / Dicembre 3, 2020
Buongiorno,
temo che la risposta sia no.
Il TFR lo si lascia in azienda, lo si mette in un fondo pensione (o PIP) o lo si riscatta parzialmente per acquisto casa, cure, eccetera.
Non se ne può disporre liberamente.
Un saluto!
Maria
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giuseppe / Giugno 8, 2022
non faccio il nome del Fondo ……
dati numerici
l’azienda ha versati 420 euro in 4 anni – spese e altro mi hanno presentato un riscatto di 363 euro
totale irperef e daddizzionale 83,49
oneri di partecipazione al fondo 18,00
totale importo netto pagato 261,49
questi sono i numeri …..riflessioni da parte di chi legge
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