Tra i Paesi analizzati nella nostra rubrica #Investirenelmondo non poteva mancare la Turchia, al centro delle discussioni dopo il fallito golpe di luglio e la guerra in Siria attualmente in corso. Scopriamo insieme lo stato di salute del Paese “ponte” tra Europa e Asia.
Il Paese in cifre
Contesto socio-politico
Con la caduta dell’Impero ottomano[1] al termine della prima guerra mondiale, nel 1923 venne proclamata la nascita della Repubblica (parlamentare) di Turchia guidata dal generale dell’esercito Mustafa Kemal Atatürk[2]. Sotto la sua guida venne intrapresa una politica finalizzata alla “secolarizzazione” del Paese, cercando di avvicinarlo ai modelli occidentali di Repubblica laica e provando ad unificarlo attraverso la “turchizzazione forzata” a discapito delle minoranze dell’Anatolia (Curdi).
Tuttavia il fronte politico più legato all’islam, il partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) guidato dall’attuale Presidente della Repubblica Recep Erdoğan (eletto nel 2014), ha mantenuto unpotere stabile e crescente, tanto da finire per prendere il sopravvento. Dal 2002l’AKP si è confermato saldamente al Governo (49,5% dei voti all’ultime elezioni del 2015).
Il consenso per il partito al governo è cresciuto anche dopo il tentato colpo di Stato del luglio del 2016, il cui esito negativo ha ulteriormente rafforzato il potere di Erdoğan, spingendolo verso una riforma in senso presidenziale[3]. Vale la pena sottolineare che il potere legislativo in Turchia è amministrato, alla pari, dalla Grande Assemblea Turca (l’equivalente del nostro Parlamento) e dallo stesso Presidente della Repubblica, a cui spettano ampi poteri sia dal lato esecutivo che legislativo.
Una nota dolente da segnalare è il “trasformismo” che caratterizza la politica interna ed estera dell’AKP: membro della NATO e al contempo oppositore di alcune sue politiche, ha avviato i protocolli per l’adesione all’Unione Europea ma non li ha ancora portati a termine (nonostante l’unione doganale siglata nel 1996 per facilitare il commercio) ed è sicuramente discutibile l’operato nella guerra civile in Siria e nella lotta all’ISIS, senza dimenticare l’irrisolta “questione curda”.
Punti di forza e di debolezza
Contesto economico
Indicatori principali | 2015 | 2016 | Stime 2017 | Stime 2018 |
Variazione % PIL Reale | 4% | 2,3% | 3% | 3,2% |
Disoccupazione | 10% | 10,3% | 10,2% | 10% |
Debito/PIL % | 33,5% | 32,6% | 33% | 33,5% |
Inflazione | 8% | 7,8% | 8,2% | 7,3% |
Debito totale estero (% sul PIL) | 53,4% | 59,3% | 61% | 62% |
Saldo di conto corrente (% sul PIL) | -5,5% | -4,4% | -4,8% | -4,9% |
Fonte: FMI, Banca Popolare della Turchia
Quadro macroeconomico
Come mostra la tabella qui sopra, la crescita del PIL degli ultimi anni si attesta mediamente intorno al 3% (valore lontano dai massimi del 2010/2011, quando si è toccato il 9%), non centrando così il target del 5% imposto dalle autorità turche. Un rallentamento le cui cause sono da ricercare nella debole domanda interna, oltre che nel crollo delle esportazioni verso i paesi dell’area medio-orientale (Iraq e Siria in primis). Inevitabilmente anche le dinamiche politiche successive al colpo di Stato contribuiscono a questa debole crescita che si riflette sul mercato del lavoro: non potendo garantire un’occupazione ad una forza lavoro sempre in aumento, il tasso di disoccupazione si mantiene alto, intorno al 10%. L’economia del Paese rimane ancora incentrata sull’agricoltura, tanto che riesce ad essere autosufficiente da questo punto di vista, anche se il settore industriale prende sempre più spazio e ad oggi rappresenta circa l’80% del valore totale della produzione.
Significativo il valore del rapporto debito/PIL, che dai massimi del 2001 (80%) è crollato ora a circa il 33%, al contrario del valore del debito totale estero che è salito al 60% del PIL, rendendo il Paese sensibile ai movimenti della propria valuta: con il deprezzamento degli ultimi anni è diventato più difficile ripagare questo debito. L’inflazione invece, lontana dal target del 5% imposto dalla Banca Centrale ed ora pari a circa l’8%, è sostenuta dall’aumento dei prezzi alimentari e dal rincaro del petrolio a seguito della decisione del taglio alla produzione dell’OPEC.
Infine soffre la bilancia commerciale: importando quasi la totalità del suo fabbisogno energetico il Paese è eccessivamente esposto all’andamento del cambio della propria valuta e ai rischi derivanti dall’indebitamento con l’estero, soprattutto a seguito del downgrade deciso dall’agenzia di rating S&P sotto la soglia dei paesi “Investment Grade” (considerati sicuri). Tuttavia il crollo dell’ultimo anno del prezzo dell’energia ha contribuito a limare questo saldo negativo. Inoltre è necessario rimarcare come la delicata situazione interna abbia danneggiato il turismo, che è storicamente un’importante fonte di reddito per la Turchia.
Politica monetaria
La Banca Centrale della Repubblica di Turchia (TCMB) aveva intrapreso nel 2014 una politica accomodante, operando importanti tagli ai principali tassi di riferimento (tasso di rifinanziamento e tasso sui depositi bancari), con l’obiettivo di frenare l’eccessiva caduta della moneta nazionale e di rinvigorire il sistema finanziario. Ma nella riunione dello scorso novembre ha cambiato strategia, annunciando un rialzo dei tassi (dal 7,5% all’8%) senza tuttavia effetti significativi sul cambio. Da qui la decisione di gennaio di tagliare il rapporto delle riserve di cambio depositate nelle banche, fornendo così circa 1,5 miliardi di dollari al mercato. L’aspetto più negativo rimane la fiducia verso la TCBM: l’indipendenza dell’istituto è seriamente minacciata dalle riforme che sta attuando il Presidente Erdoğan, che si è definito “nemico dei tassi d’interesse”. Difatti nell’ultima riunione della Banca Centrale, nonostante fosse atteso dal mercato un nuovo rialzo, è stato deciso di non operare significativi cambiamenti (aumentando unicamente il tasso sui depositi, senza toccare gli altri). Una nota sul sistema bancario dove la quota di prestiti in sofferenza si attesta intorno al 2,7%, inferiore alla media europea del 6% circa.
Contesto finanziario
Indice
L’indice di riferimento, il “Borsa Istanbul 100 index”, rispecchia la doppia natura del Paese: da un lato, osservando il confronto con due benchmark (MSCI sui Paesi Emergenti e MSCI dei Paesi del Medio Oriente), è evidente un trend positivo, dall’altro è innegabile l’andamento altalenante in cui si è imbattuto l’indice (volatilità storica a 10 anni pari a circa il 18%): i problemi interni al Paese e una valuta debole si riflettono inevitabilmente sul mercato azionario.
La volatilità dell’indice trova una valida spiegazione osservandone la scomposizione settoriale: il peso del settore finanziario è preponderante rispetto agli altri, questo nonostante sia il settore industriale il vero motore del Paese che conta per circa l’80% del valore della produzione complessivo, come testimoniato anche dall’oggetto delle esportazioni, caratterizzate per lo più da materiali (tessili in particolar modo) e prodotti industriali/semilavorati.
Mercato obbligazionario
La curva del mercato obbligazionario turco offre rendimenti difficilmente rintracciabili nelle economie sviluppate, riflettendo tuttavia i problemi geopolitici che affliggono il Paese. Infatti i rendimenti maggiori (e quindi i potenziali rischi) sono collocati sulle scadenze più brevi: entro i 5 anni è offerto, mediamente, il 10,75%, mentre sulle scadenze entro i 10 anni il rendimento è di circa il 10,6%. Questo valore però, depurato dall’inflazione (ottenendo così il rendimento reale), crolla allo 0,33%.
Mercato valutario
Date le precedenti considerazioni in merito alle mosse della Banca Centrale e alla situazione di deficit corrente (finanziato dai flussi esteri di capitale, crollati nell’ultimo anno), la Lira Turca risente direttamente della fragilità del Paese. Con una volatilità annua di circa il 16%, prosegue la svalutazione (nei confronti del dollaro USA): nell’ultimo anno ha perso circa il 20%, mentre allargando l’orizzonte temporale a 5 anni la svalutazione registra un netto 50% in meno: un aspetto che indebolisce il commercio estero del Paese, che rispecchia anche le debolezze dei principali paesi emergenti, soprattutto dopo le mosse della FED.
Come investire sulla Turchia
Obbligazioni
Non ci sono strumenti disponibili per investire sul mercato obbligazionario turco. Tuttavia sono da segnalare le obbligazioni emesse dalla BEI[4] (Banca Europea per gli Investimenti) in Lira Turca: queste riflettono il rischio “emittente” della BEI (e non del paese della valuta di emissione), classificata con un rating AAA, e godono di una tassazione agevolata al 12,5%. Tuttavia, essendo denominate in Lira turca, possono essere molto volatili per via del “rischio cambio”.
Azioni (ETF)
Sul mercato di Borsa Italiana sono presenti 2 ETF azionari esposti al mercato turco:
- Lyxor Ucits Etf Turkey
- Ishares Msci Turkey Ucits Etf Usd Dist
[1] Dopo 623 anni, dal 1299 al 1922
[2] Difatti le forze armate del Paese condizionavano la maggior parte delle sue istituzioni. Rimane comunque l’unica “democrazia islamica” del Medio Oriente.
[3] Sarà deciso da un referendum popolare in aprile.
[4] Un organismo sovranazionale con il compito di fornire finanziamenti per progetti che contribuiscono a realizzare progetti interni ed esterni all’UE.