Diversificare su base internazionale significa esporsi non solo al rischio di un’asset class, ma anche a quello della divisa estera in cui è denominata. Da quest’ultimo rischio però è possibile proteggersi tramite la copertura valutaria. Ecco cos’è e come funziona.
Azioni internazionali, obbligazioni Paesi Emergenti, commodities: è normale per qualsiasi risparmiatore avveduto investire in attività finanziarie estere, denominate in divisa straniera. Rientra in una normale strategia di diversificazione dei rischi, che si attua anche diversificando su base geografica.
La diversificazione internazionale significa condividere non soltanto le sorti di un’asset class, ma anche quelle della divisa di denominazione, che può giocare un ruolo di rilevo nel risultato finale dell’investimento. Detto altrimenti, oltre al rischio delle attività estere, ci si assume anche il rischio di cambio associato. A meno che non si decida di coprirsi da questo rischio con il cosiddetto hedging.
Un tempo non erano molti gli strumenti finanziari a disposizione del risparmiatore per gestire il rischio di cambio. Oggi, però, fortunatamente la situazione è cambiata. E così il risparmiatore si trova a dover decidere: coprire oppure no il rischio che origina dalle divise? Scelta non banale.
C’è chi suggerisce di coprirsi sempre e comunque perché le divise sono un rischio in più, c’è chi invece sostiene che è meglio non farlo mai, perché nel lungo termine dovrebbe essere indifferente, e chi dice che è meglio l’hedging selettivo e opportunistico, in funzione della situazione di mercato. Probabilmente c’è del buono in tutte queste idee. Per formarci un’opinione, analizziamo alcuni fatti.
Innanzitutto, su che cosa dobbiamo basarci? Le prospettive di rendimento delle divise, o i rischi associati?
Procediamo con ordine.
I rendimenti delle valute sono erratici. Un esempio per tutti è dato dal cambio dell’euro rispetto alle principali divise, misurato in modo sintetico dall’EUR Bloomberg Correlation-Weighted Index[1]; il grafico seguente ne riporta le performance annuali dal 1998 al 2016.
Si nota immediatamente che le performance storiche dell’indice sono state molto variabili da un anno all’altro: a volte sensibilmente negative, altre volte molto positive, talvolta prossime allo zero (risultati simili si ottengono considerando altre divise). È molto difficile dire cosa possa accadere in futuro: pensate al franco svizzero, che dal 14 al 23 gennaio 2015 si è mosso del -18% per effetto di un’inaspettata decisione della banca centrale svizzera. Pertanto, è difficile decidere solo sulla base dei i dati storici, o delle previsioni relative al futuro, se sia meglio coprirsi dai rischi di cambio oppure no.
È più saggio ragionare in termini di rischi, il cui comportamento è tendenzialmente meno erratico; le stime relative ai rischi sono quindi più affidabili da un punto di vista statistico[2] rispetto alle attese di rendimento.
I rischi a livello di singola asset class
Analizziamo perciò il rischio di un significativo insieme di asset class, rappresentate da indici benchmark, in un lasso temporale che va da gennaio 2008, cioè dagli albori della crisi Lehman, con i primi problemi sul mercato dei mutui sub-prime negli USA, fino a fine 2015. Un periodo significativo, perché turbolento, caratterizzato dalla crisi dell’eurozona e da una recessione mondiale. Vediamo come si comportano a livello individuale le asset class considerate, coperte e non dal rischio di cambio, in termini di downside risk, metrica di rischio volta a misurare la tendenza a manifestare perdite[3].
È evidente una tendenza: la copertura generalmente riduce il rischio. Infatti, la media semplice delle metriche di rischio mostra come la copertura, cioè l’hedging, diminuisca il rischio del 2,7%: da 15,4% a 12,7% (in termini relativi, è il 17,5% di differenza, non poco). Tutto molto logico, perché investire in un asset denominato in divisa straniera ha una componente di rischio aggiuntiva. Tale addendum è dovuto all’esposizione al cambio, che in prima approssimazione[4] è pari a:
rischio della divisa + rischio legato alla correlazione tra divisa e asset
Quindi, a meno che la correlazione tra l’investimento e il cambio non sia negativa (il che significa, ad esempio, che quando uno sale, l’altro scende), investire senza coprirsi dal rischio di cambio comporta qualche rischio in più. Il che è intuitivo: non si investe solo in azioni o obbligazioni straniere, ma anche nelle divise associate, che diventano un fattore di rischio aggiuntivo da gestire, perché ogni fattore di rischio può portare a guadagni o perdite.
I rischi a livello di portafoglio
A livello di portafoglio si ritrovano risultati simili a quelli riscontrati sulle singole asset class. Per rendercene conto, utilizziamo i dati delle asset class considerati in precedenza e costruiamo 2.000 portafogli casuali (cioè i pesi di ciascun investimento sono generati con una simulazione Monte Carlo), dei quali 1.000 coperti dal rischio cambio e 1.000 no. In questo modo abbiamo un insieme vastissimo di situazioni di portafoglio, il che ci aiuta a formare un’opinione più solida.
Nel grafico sottostante ciascun punto rappresenta il rischio e il rendimento di un portafoglio; i 1.000 punti blu si riferiscono ai portafogli con copertura dal rischio cambio, mentre i 1.000 punti rossi rappresentano i portafogli privi di copertura.
Grafico a dispersione con downside volatility annualizzata sull’asse delle ascisse e performance annualizzata normalizzata a zero (per focalizzare il grafico sul rischio) sull’asse delle ordinate, riferiti a 2000 portafogli con pesi pseudo-casuali, generati con una simulazione Monte Carlo. Dati di fonte Bloomberg, elaborazioni AdviseOnly.
Come si può notare, i portafogli con copertura tendono a collocarsi più a sinistra di quelli blu: significa che sono mediamente meno rischiosi. È bene sottolineare il termine “mediamente”, in quanto i mercati finanziari sono erratici e non v’è quindi alcuna certezza.
Cosa fare in pratica
Appurato che l’esposizione alla divisa è un fattore di rischio in più nel portafoglio e che generalmente la copertura diminuisce il livello di rischio, occorre decidere il da farsi.
Difficile stabilire in assoluto se sia meglio coprire o no il portafoglio: pragmaticamente, è bene valutare caso per caso. Le soluzioni devono essere legate a bisogni e obiettivi di ciascun investitore e, eventualmente, alle differenti prospettive assegnate alle divise. Poiché in assenza di hedging ogni divisa è un fattore di rischio in più, le opportunità e i rischi che ne conseguono vanno gestiti in modo consapevole.
Vuoi saperne di più?
[1] Si tratta di un indice definito come paniere di divise quotate rispetto all’euro; il paniere ricomprende USD, CAD, AUD, CHF, GBP, JPY, NOK, NZD, SEK. L’indice fornisce un’indicazione della dinamica di una valuta rispetto alle altre principali divise mondiali, evidenziandone la forza relativa.
[2] Il rendimento atteso (in sostanza il momento primo della distribuzione dei rendimenti) d’un investimento è soggetto a un maggior errore di misurazione rispetto a molte metriche di rischio: l’errore è tanto maggiore quanto più è rischioso l’attivo. Pertanto la stima del rendimento atteso risulta generalmente poco attendibile.
[3] Il downside risk è calcolato come radice quadrata del momento parziale inferiore d’ordine 2 dal polo 0, annualizzato.
[4] La decomposizione è piuttosto limpida se s’utilizza come metrica di rischio la varianza dell’investimento non coperto; in tal caso il rischio totale è dato da vA+vFX+2cov(A,FX), dove vA è la varianza dell’investimento in divisa locale (es. USD), vFX è la varianza del cambio (es. EUR/USD), e cov(A,FX) è la covarianza tra investimento in divisa locale e cambio. L’addendum dovuto al rischio cambio è dato dai due ultimi termini: vFX+2cov(A,FX).
Massimo Vicari / Febbraio 23, 2017
Grazie per la chiarezza dell’articolo. Vorrei porvi una questione: il costo dell’Hedge sul cambio, è compreso nel TER? Ovvero in genere noto che su gli stessi prodotti, con e senza hedge, la differenza di TER è assai poca, ad esempio 0.05% (in generale, non ho fatto ricerche specifiche), mentre se cerco in giro swap, opzioni e derivati e faccio due conti, una copertura ad esempio Eur/Usd mi costa 1.5% e più. Per cui o il prezzo del TER non contiene il costo dell’Hedge, oppure i costi sono assai minori grazie ad economie di scala, oppure ancora usando replica sintetica del basket di titoli questi costi sono pressochè inesistenti. Mi potete aiutare a capire? Grazie!
/
Advise Only / Febbraio 24, 2017
Ciao Massimo, la risposta è sì.
Cioè, il costo della copertura è già scontata nella performance del fondo – non nelle commissioni (esattamente come i costi di negoziazione). I costi sono assai minori di quelli che affronta un investitore retail soprattutto grazie alle economie di scala, all’accesso ai migliori desk di trading e altri benefici legati all’essere un grande asset manager.
/
Massimo Vicari / Febbraio 27, 2017
Grazie mille! Quindi per farsi una idea del costo totale, un hedge sul $ sarà diverso di un hedge sullo Yen, come si può fare?
/
Advise Only / Febbraio 27, 2017
La performance dell’ETF è già netta dei costi, sia operativi (es. negoziazione), sia quelli legati alle spese (v. TER).
Il costo della copertura del rischio cambio, se uno vuole farsi un’idea, è approssimativamente proporzionale al differenziale dei tassi d’interesse delle due divise sull’orizzonte temporale di copertura.
/