In questi giorni siamo tutti attaccati agli schermi del pc o dei televisori per conoscere l’andamento delle Borse o dell’ultimo spread tra BTP e Bund. Cerchiamo in sostanza di prendere la temperatura della crisi europea, dell’incertezza sulla tenuta dell’Unione, sulla sua forza di reazione e sulla capacità della nostra moneta unica di resistere alla pressione centrifuga delle Nazioni.
In questa situazione di emergenza qualcuno allarga lo sguardo fuori dal cortile, cercando il problema al di là dei confini continentali. Il mondo è oggi molto diverso da quello di 10 o 20 anni fa. Facciamo un appunto lessicale: ricordate i Paesi del Terzo mondo? Sono diventati Paesi in via di sviluppo, oggi li chiamiamo Emergenti. Alcuni commentatori si sono spinti a considerare Cina, India, Brasile e Russia, per molti versi, “Emersi“. Per non parlare dell’eloquenza dei freddi dati: le economie di questi Paesi, all’inizio degli anni ’90, rappresentavano 1/3 dell’economia mondiale. Oggi superano la metà del totale e, secondo le stime odierne, nei prossimi 20 anni, raggiungeranno i 2/3!
Partendo dal presupposto che, per quanto enormi, le risorse del nostro pianeta sono finite (certo ci sono sempre nuove scoperte e nuove tecnologie per utilizzare meglio quello che già abbiamo) ma… bisogna cominciare a entrare nell’ordine delle idee che tali risorse in futuro potrebbero essere distribuite in modo diverso (il che è anche giusto). Il nostro “piccolo” Continente potrebbe, quindi, essere marginalmente più povero in futuro. Si tratta di dinamiche strutturali ineludibili e non ci sono riforme di Governi tecnici che possano arginarle.
Qualcun altro guarda al passato e cerca di interrogarsi su cosa abbiamo sbagliato. Ad esempio se noi Europei abbiamo peccato di ottimismo nel creare una moneta unica per Paesi così diversi per caratteristiche socio-economiche (pensate, a titolo d’esempio, alla Grecia e alla Finlandia) o se l’UE avesse dovuto pretendere – e vigilare – le riforme economiche prima dell’adozione del regime valutario comune.
In questo post, però, non voglio analizzare né il presente, né il passato (li considero costante). Voglio, piuttosto, proiettarmi nel futuro e cercare di capire, partendo da questa disastrata condizione, cosa possiamo fare d’ora in poi per evitare che tutto ciò che abbiamo costruito negli ultimi 60 anni si sgretoli e per scongiurare che il nostro Continente – e ancor più il nostro Paese – resti ai margini dei grandi movimenti globali.
Invece di elencare le caratteristiche di rigore nei trattati di stabilità, l’UE dovrebbe far sì che i membri abbiano ex ante obiettivi comuni di politica economica e, al fine di essere valutate e coordinate, parlare in un’unica “lingua” per le politiche strutturali e di bilancio. Il controllo dovrebbe essere preventivo ed efficace per il rispetto delle regole e della politica di sostenibilità delle finanze pubbliche nel lungo termine.
Contrariamente all’esitazione con la quale la Banca Centrale Europea ha gestito la crisi attuale, dovrebbe essere definito il suo ruolo di prestatore di ultima istanza per casi di emergenza, senza malumori intestini e con la consapevolezza che quanto più è tardiva l’azione, più costoso è il rimedio. Per tutti.
Inoltre la BCE dovrebbe fare ciò che fanno la Federal Reserve americana o la Nippon Ginkō, la Banca Centrale Giapponese: stampare, quando serve, moneta.
Infine un auspicio del tutto personale: l’unificazione politica dell’Europa, almeno per alcuni ambiti particolarmente strategici. Economia, fisco, immigrazione, difesa e politica estera. Questo romperebbe la divisione con la quale i Paesi europei si presentano nei consessi internazionali rendendola, finalmente, più forte. So che la strada è tutta in salita, soprattutto data la situazione odierna, che presenta da una parte i primi della classe e dall’altra, i rimandati (o bocciati) in punizione dietro la lavagna. Questa è una sfida difficilissima, ma sarebbe il giusto coronamente di decenni di integrazione.
A questo si aggiunge la riluttanza per i leader europei di rinunciare a parte del proprio potere, di perdere il prestigio nazionale e le sempre più forti paure che rendono elettoralmente vincenti i partiti euroscettici.
D’altronde, anche oltreoceano, gli Stati americani hanno potuto aggiungere l’aggettivo “Uniti” non senza difficoltà. Noi abbiamo l’ulteriore fatica delle diversità linguistiche, culturali, una storia millenaria e la certezza di doverlo fare per scelta volontaria. Tuttavia, se vogliamo continuare a contare in futuro, dobbiamo procedere uniti.