Chi si occupa di finanza parla spesso di “mercato”. Un po’ come se esistesse un’entità, una sorta di spirito delle Borse, che ne determina il trend principale. Capito “il mercato” si ha la sensazione di essere a metà dell’opera.
Ebbene, questo non è un pensiero irrazionale e stravagante, bensì qualcosa dettato dalla lunga esperienza di molti operatori finanziari. Anzi, vi dirò di più: è un fatto, corroborato dai dati, e ora ve lo mostro.
Staniamo lo “spirito delle Borse”
La statistica mette a disposizione un vasto armamentario per analizzare le cosiddette “variabili latenti”, cioè quelle che serpeggiano nascoste sotto la superficie di un fenomeno osservabile. È proprio il nostro caso.
Per analizzare cosa si muove sotto le Borse, pesco dalla cassetta dei ferri statistici uno strumento largamente usato, l’Analisi delle Componenti Principali (PCA). Il nome, per una volta, dice qualcosa di ciò che fa: si tratta di un metodo che trova le componenti principali dei dati, scovando cioè i suoi elementi di base, dopo averli sfrondati da quelli di contorno. Così si mette a nudo la struttura del fenomeno, nel nostro caso l’andamento delle Borse mondiali.
Bene, facciamolo. Innanzitutto servono i dati di Borsa: lunghe serie storiche delle principali piazze, cioè i valori settimanali di venti indici di Borsa[1], di fonte Bloomberg, in divisa locale, che vanno indietro fino al 1988 (spingendoci più indietro verrebbero a mancare i dati per molte Borse e l’analisi diventerebbe meno significativa).
Poi applichiamo l’algoritmo e troviamo le componenti principali (qui trovate una spiegazione intuitiva – spero). I risultati sono direi interessanti, visto che una singola componente principale da sola spiega il 72% dei movimenti delle venti Borse mondiali considerate: ecco, abbiamo scovato la struttura portante del mercato azionario. È proprio “il mercato” di cui parlano i media e gli operatori.
Grazie a un grafico possiamo osservare il volto dello “spirito del mercato”, cioè la componente numero 1.
Nel grafico si riconoscono gli avvenimenti principali degli ultimi trent’anni: tra gli altri, la crisi di LTCM del 1998, lo scoppio della bolla dot.com, il lungo bull market terminato con il default della banca d’affari Lehman Brothers e il successivo profondo precipizio della Grande Crisi, che ha poi coinvolto l’eurozona, il nuovo mercato Toro e infine la correzione iniziata nella seconda metà del 2015. L’interpretazione della prima componente principale come “fattore di mercato”, anche in prospettiva storica, è intuitiva (badate, non sempre è così con questo tipo di analisi).
È interessante ora mettere a confronto il fattore di mercato con l’indice azionario più seguito al mondo, lo statunitense S&P 500: emerge abbastanza chiaramente come Borsa USA e prima componente principale siano ben correlate e abbiano quindi dinamiche molto simili.
Insomma, come mostra il grafico precedente, il “fattore di mercato” che spiega gran parte dei movimenti delle azioni di tutto il mondo varia in buona sintonia con la Borsa USA (sintonia fortunatamente non perfetta però, altrimenti non ci sarebbe spazio per la diversificazione di portafoglio).
A pensarci bene, il forte legame tra la Borsa USA e il “fattore di mercato” non è un risultato così stupefacente: stiamo infatti parlando del più vasto mercato azionario al mondo, che affonda le radici nell’economia maggiormente sviluppata al mondo, centro nevralgico di decisioni finanziarie, economiche e politiche.
Una conseguenza pratica di ciò è che, quando si tratta di assumere decisioni di investimento, una volta definito un quadro per la Borsa USA (per il quale le informazioni sono tante e di buona qualità) si è già compiuto un bel passo avanti nel disegnare lo scenario per il mercato nel complesso.
[1] Questi gli indici considerati, da gennaio 1988 a febbraio 2016: S&P 500, Nikkei 225, Hang Seng, Kospi, As30, Omx Stockholm, Cac40, Dax, Athex, Irish Overall Index, Itali Bci Comit, Aex, Ibex 35, Ftse 100, Omx Helsinki, MSCI Switzerland, MSCI Brazil, PSI All-Share, MSCI Argentina.
Eppol / Febbraio 25, 2016
Raffaele, perdona la mia ignoranza, ma non ho afferrato lo scopo ultimo di questo tipo di analisi. Se ho capito bene con la PCA abbiamo ottenuto, mediante una trasformazione lineare, una variabile artificiale che spiega il 72% dei movimenti delle borse. Però, a livello pratico, come possiamo sfruttare questa scoperta se tale variabile in realtà non esiste?
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Raffaele Zenti / Febbraio 25, 2016
A livello pratico:
1) sai che se hai un’idea sul mercato USA, probabilmente è OK per tutto il mercato azionario (e, come ho scritto, è più semplice informarsi e formarsi un’opinione sul mercato USA, perché è ricco di dati, serie storiche, commentatori, la sua economia è tra le più trasparenti, ecc); in sostanza ti dice di non dispendere troppo tempo ad analizzare tanti mercati…
2) per brevità l’ho omesso, ma la PC1, cioè il fattore di mercato, è una media ponderata delle variabili originali (qui l’ho spiegato un filo più nel dettaglio: https://medium.com/@RockZen/staniamo-lo-spirito-delle-borse-con-la-pca-c5e64f9709fc#.et76yxwja), che sono indici di Borsa. Quindi, quei pesi si possono utilizzare per formare un portafoglio. Il grafico che allego (spero si veda) rappresenta proprio tali pesi: di fatto è un portafoglio equipesato di indici azionari, con la notevole eccezione del Giappone, che sarebbe short (perché è poco correlato con le altre Borse – e questo lo rende interessante…). In sostanza, questa analisi supporta l’idea che per catturare il generico premio al rischio azionario nel medio-lungo periodo un paniere diversificato in ETF o fondi (più che un indice market-cap mondiale, dominato da grandi multinazionali) sia più che sufficiente.
3) Una paniere del genere è utile per monitorare in modo più oggettivo il clima finanziario – e infatti è incluso negli ingredienti del Barometro del Rischio.
PS:… e ci sono anche tanti altri utilizzi, un filo più tecnici, a uso gestionale e di analisi del rischio.
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Eppol / Febbraio 25, 2016
Argomento abbastanza ostico, ma grazie alla spiegazione e rileggendo più volte l’approfondimento su Medium penso di aver capito. Effettivamente è uno strumento di analisi davvero potente!
Grazie di nuovo per il tuo tempo.
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Gioliver / Febbraio 26, 2016
Buongiorno Raffaele, dopo attenta lettura del tuo interessante articolo, mi verrebbe da dire che hai fatto una cluster, non una PCA.
Mi spiego meglio: sono solito usare la PCA per ridurre il numero di variabili utilizzate per “spiegare” la variabilità un determinato fenomeno. Solitamente il fenomeno che indago è la soddisfazione o il gradimento per un prodotto/servizio. Nel caso di uno yogurt, ad esempio, le variabili che entrano nella PCA (indipendenti) potrebbero essere cremosità, dolcezza, liquidità, sapore e consistenza della frutta ecc. La fenomeno da spiegare potrebbe essere il maggiore o minore gradimento all’assaggio.
Eseguita una PCA sulle “variabili indipendenti” selezionerei le componenti più importanti in base all’autovalore e, quindi, andrei a regredire i corrispondenti pesi fattoriali sulla variabile dipendente (gradimento). Il tutto al fine di ottenere la percentuale di spiegazione del fenomeno espressa, sia dal modello nel complesso, sia dalle singole componenti principali.
Nel tuo caso, invece, mi sembra che tu abbia utilizzato dei “fenomeni particolari” per spiegare un “fenomeno generale” ovvero l’andamento dei singoli mercati finanziari per individuare l’andamento generale.
In sostanza, da quello che capisco delle tue spiegazioni, più che trovare “lo spirito delle Borse” mi pare che tu abbia segmentato le Borse!
Basterebbe controllare nella matrice ruotata dei factor loadings quali Borse “pesano” di più sulle prime tre/quattro componenti per capire se la mia ipotesi è corretta.
Dato che non ci conosciamo, ti prego di non fraintendere il mio intervento. Il mio intento è solo quello di portare un contributo costruttivo alla discussione. Anzi, spero non aver capito bene la tua analisi (proveniamo da mondi professionali diversi, senza dubbio) e che tu possa correggere le mie elucubrazioni.
Giovanni
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Raffaele Zenti / Febbraio 26, 2016
…no, ho proprio effettuato una PCA…
La PCA può servire a molte cose: ridurre le dimensioni di un problema, ottenere dei regressori belli ortogonali, individuare i driver più importanti e capire che aspetto hanno (quello che ho fatto io nel post), trovare un portafoglio di replica (vedi un altro commento: si usa il primo autovettore), oppure trovare un portafoglio market neutral (vedi le ultime componenti). La PCA e tecniche affini, es. state-space models, possono essere utilizzate in molti modi, più o meno canonici…
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Gioliver / Febbraio 26, 2016
non ti stavo accusando di avere barato! intendevo dire che concettualmente mi sembra un utilizzo della PCA più con finalità di segmentazione che di ricerca dei driver che governano un fenomeno. Non avendo i tuoi dati e l’output della PCA davanti agli occhi si trattava solo di un’ipotesi, se ho detto un castroneria mi scuso e mi ritiro in buon ordine.
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Raffaele Zenti / Febbraio 27, 2016
Ah, tranquillo, non mi sento mica accusato… t’assicuro che per me è un piacere discettare di questi argomenti.
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