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#IlGraffio: ecco cosa non funziona nella nostra banca centrale

Banca d’Italia è davvero “super partes”?

Se per decenni la banca centrale italiana è stata percepita come una sorta di “luogo sacro” dall’immaginario collettivo, negli ultimi tempi qualcosa sembra essere cambiato: via Nazionale è sempre più soggetta a critiche, spesso doverose. E quando gli dei cadono, lo fanno precipitosamente e con gran rumore.

Il sistema dei controlli di Banca d’Italia viene sempre più spesso messo sotto esame: basti pensare ai casi delle banche commissariate con significativo ritardo rispetto al momento della percezione della crisi (leggi: crediti inesigibili) e la carenza di effettivi controlli sulla raccolta bancaria (leggi: obbligazioni subordinate).

Ma Banca d’Italia è davvero “super partes” nei confronti delle banche italiane?

Vediamo di mettere chiarezza. Certo, la Banca centrale europea ha accentrato molte delle funzioni che prima erano in mano alle banche centrali nazionali. Ma va detto anche che queste ultime continuano ad avere un importante ruolo di vigilanza e controllo sulle banche nazionali, in particolare quelle che non rientrano nella “top list” vigilata dalla Bce. Ricordiamo che le banche operanti in Italia sono in tutto 1.755 (banche in forma di società per azioni, BCC, casse di risparmio, banche popolari, casse rurali e artigiane, casse Raiffeisen, mediocredito, filiali di banche estere) e che Bankitalia ha inoltre il controllo sugli intermediari non bancari, sulle società di gestione ed intermediazione mobiliare, su altri soggetti vigilati.

Chi sono gli azionisti delle banche centrali nazionali?

Se la domanda ha una semplice risposta per Banca d’Inghilterra, Bundesbank, Banque de France e Banco de España, tutte possedute interamente dai rispettivi governi (che nominano, ma non impongono vincoli di mandato, ai governatori e ai consiglieri dell’organo di gestione), per la Banca d’Italia la risposta è molto più frammentata, proprio come i suoi azionisti. L’assetto proprietario attuale di Bankitalia infatti, è il risultato di fusioni, privatizzazioni e trasformazioni delle banche che, un tempo pubbliche, nel corso degli anni si sono aperte all’azionariato privato.

Se i controllati controllano il controllore…

Una prima sorpresa: le banche italiane principali posseggono complessivamente circa l’80% del capitale della banca centrale. I maggiori azionisti (dati disponibili sul sito web della Banca d’Italia) sono IntesaSanPaolo (25,5%), Unicredit (18,7%), CariBologna (6,2%), Generali (5,5%), INPS (3,0%), INAIL (5%) Carige (4,0%), Inarcassa, Enpam e Cassa Nazionale di Previdenza Forense (3% ciascuna), BNL (2,8%), MPS (2,5%).

Un assetto alquanto peculiare, con i controllati che formalmente controllano il controllore, ma da cui sostanzialmente dipendono. Un evidente conflitto di interessi, a tutto vantaggio del mantenimento e della prosecuzione della “nomenclatura di sistema”. Ai lettori potranno forse sorgere dubbi amletici sull’effettiva modalità e “spontaneità” dei controlli operati da via Nazionale.

 

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Elaborazione AdviseOnly su dati Bankitalia

Ma le sorprese non finiscono qui.

Il patrimonio della banca centrale è di 36,7 miliardi di euro, inclusi i fondi rischi generali; in base alla normativa attuale, le banche azioniste non sono obbligate ad allineare il valore della quota posseduta al valore del patrimonio della banca centrale. Alcune banche, quindi, adottano il criterio del costo storico, altre hanno adeguato il valore della partecipazione negli anni. E spesso la rivalutazione così effettuata ha “aiutato” i bilanci delle banche partecipanti al capitale.

Ai partecipanti al capitale sono distribuiti dividendi per un importo massimo del 6% del capitale stesso: si tratta di un importo massimo di 450 milioni di euro, da dividere fra tutti gli azionisti. I restanti utili sono destinati a distribuzione e/o accantonamento:

  • accantonamento alla riserva ordinaria, fino alla misura massima del 20%;
  • accantonamento alla riserva straordinaria e ad eventuali fondi speciali, fino alla misura massima del 20%;
  • distribuzione allo Stato (che non è azionista della Banca d’Italia) per l’ammontare residuo: un “beneficiario di ultima istanza”.

Dubbi amletici

Trattandosi di partecipazione in una banca centrale, non quotata e soggetta a restrizioni nella circolazione delle sue azioni, una trattativa per la cessione di una sua quota deve essere “benedetta” dalla Banca d’Italia stessa (l’oggetto di una trattativa, ad oggi peraltro puramente teorica ed accademica, sceglie dunque l’eventuale acquirente e fissa le regole). Non solo: la trattativa è anche soggetta alle indicazioni di via Nazionale, il che significa che la “contendibilità” (garanzia di libera concorrenza nell’acquisizione di una società, di un’impresa o ente) e la “liquidità” (attitudine di un investimento a trasformarsi in denaro rapidamente) dello strumento risultano modeste, diremmo assenti.

Banca d’Italia è dunque una banca centrale che sembra usare pesi diversi, con ritardo rispetto ai tempi richiesti, e che si trova a vigilare su banche sue stesse azioniste. C’è sufficiente carne sul fuoco per chiedersi se – per citare l’Amleto di Shakespeare – “c’è del marcio nel manico del sistema?”.

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