Pochi sanno che anche l’Italia ha il suo fondo sovrano: il Fondo Strategico Italiano (FSI).
Forse poca cosa rispetto al fondo sovrano della Norvegia – il più importante investitore del Vecchio Continente, con attività finanziarie di 860 miliardi di dollari e un portafoglio di 500 miliardi di dollari – il nostro fondo ha un capitale di 4,5 miliardi di euro. Appartiene per il 77,702% dalla Cassa depositi e prestiti (CDP), per il 2,298% da Fintecna (a sua volta, posseduta al 72,5% da CDP) e per il 20% da Banca d’Italia. Ad oggi, gli investimenti in essere sono 1,4 miliardi di euro e la liquidità disponibile è di 3,6 miliardi.
FSI (e suo tramite, la partecipata al 77,1% FSI Investimenti) investe, con quote di minoranza, in “imprese di rilevante interesse nazionale”, che si trovino in uno “stabile equilibrio economico, finanziario e patrimoniale”, e che abbiano “adeguate prospettive di redditività e significative prospettive di sviluppo”: insomma, i campioni nazionali. I 14 settori ritenuti meritevoli di interesse, e quindi di investimento, sono: difesa, sicurezza, infrastrutture, trasporti, comunicazioni, energia, assicurazioni e intermediazione finanziaria, ricerca e innovazione ad alto contenuto tecnologico, pubblici servizi, turistico-alberghiero, agroalimentare e distribuzione, gestione dei beni culturali e artistici.
Banca d’Italia è divenuta azionista di FSI quando dovette cedere il 4,48% di Generali poiché divenuta organo di vigilanza sul settore assicurativo (assorbendo le precedenti competenze dell’ISVAP), partecipazione che è stata conferita in FSI al valore di 883,4 milioni di euro (partecipazione nel frattempo ridottasi al 2,569% al 31.12.2014).
FSI ha infine costituito FSI Investimenti, in cui sono oggi concentrate le partecipazioni, aprendone il capitale al fondo sovrano Kuwait Investment Authority (KIA) che oggi detiene il 22,9% di FSI Investimenti (FSII); ed inoltre ha costituito QI Made in Italy, al 50% con il fondo sovrano Qatar Holding, che è entrata in Inalca (gruppo Cremonini, attivo nel settore della macellazione della carne) con il 28,4%.
Gli interventi di FSI hanno seguito alcune linee-guida, tra cui:
- stabilizzare l’azionariato per consentire la continuità azionaria dell’imprenditore fondatore e proseguire la crescita;
- crescita organica tramite acquisizioni;
- dotare l’azienda di nuove risorse per finanziare il proprio piano di sviluppo;
- favorire la creazione di un polo del turismo italiano (seppure perseguito tramite un investimento con un operatore non italiano, come il gruppo Rocco Forte Hotels).
Gli investimenti del Fondo Strategico Italiano
Concretamente il fondo sovrano italiano ha investito:
- nel 25,1% di Kedrion (plasma derivati) per 150 milioni di euro (aumento capitale e prestito);
- nel 46,2% di Metroweb (infrastrutture telefoniche e fibra ottica; peraltro il restante 53,8% è posseduto direttamente da CDP, risultando in un controllo totalitario) per 200 milioni (aumento capitale);
- nell’84,55% di Ansaldo Energia (energia), con una operazione di acquisto delle partecipazioni detenute da First Reserve (45%) e Finmeccanica (39,55%) per 657 milioni, in una (tipica) operazione di riassetto azionario a vantaggio dei soci venditori (con l’impegno di FSI-FSII a rilevare il rimanente 15% in mano a Finmeccanica valutato 147 milioni);
- nel 49,5% (in caso di conversione del POC in azioni) di Valvitalia (valvole per Oil&Gas) per 151,2 milioni (di cui 150,2 milioni come POC in azioni); nel 42,255% di Sia (sistemi elettronici per banche e finanziari) per 281 milioni ( di cui 77 milioni come prestito);
- nel 16,852% di Trevi (macchinari per l’esplorazione petrolifera), in parte come FSI ed in parte come FSII, per 100,6 milioni;
- nel 28,4% (tramite QI Made in Italy) di Inalca (macellazione e lavorazione di carne bovina) per 165 milioni (di cui 50 milioni con l’acquisto di azioni dall’azionista Cremonini);
- nel 23% (in parte come FSI ed in parte come FSII) di Rocco Forte Holding (settore turistico, società inglese) per 80 milioni.
A differenza dei fondi sovrani dei paesi produttori di petrolio (come Norvegia, Qatar, Kuwait, Oman), che hanno accumulato negli anni i rilevanti incassi derivanti dalla vendita di petrolio e quindi hanno un tesoro da investire come ulteriore rendita finanziaria, CDP (e quindi FSI) non ha una tale ricchezza accumulata, ma utilizza prevalentemente le risorse finanziarie derivanti dai depositi postali che non possono essere quindi considerate tesoro ma più correttamente prestiti fatti dai depositanti.
Motivo forse sufficiente per esaminare, e valutare, con particolare attenzione il risk reward ratio degli investimenti effettuati.
In Francia (con la BPI, Banca Pubblica di Investimento, dotata di un capitale iniziale di 40 miliardi, che investe nei 9 settori definiti strategici: energia, reti, telecomunicazioni, finanza, difesa, tecnologia, trasporti, gestione dell’acqua e sanità) e in Germania (con la KFW, nata nel 1948, ed oggi dotata di un patrimonio di 500 miliardi) i rispettivi governi investono nei rispettivi campioni nazionali in settori definiti strategici, cosicché le imprese francesi e tedesche hanno una spalla finanziaria pubblica al loro fianco per crescere, investire, produrre reddito ed occupazione.
Ma quali sono i pro ed i contro di un fondo strategico e sovrano come FSI?
I pro del FSI
Similmente a quanto fatto in Francia e Germania, un fondo strategico è utile per sostenere imprese nazionali con buone, preferibilmente forti, competenze industriali, con adeguati progetti di investimento sia nazionali che internazionali, così da essere e migliorare la propria posizione competitiva.
Un sostegno di tale natura va inquadrato in settori e mercati ove la competizione, e quindi il libero mercato, è tale da richiedere piani di sviluppo di crescita e miglioramento continuo.
E’ essenziale che il braccio pubblico (come nel caso di CDP/FSI e dei tedesco KFW e francese BPI) abbia ben definito quali sono i settori strategici, quali i campioni, come intervenire a loro sostegno.
I contro del FSI
Interventi strategici possono coprire soluzioni di sistema a protezione di particolari situazioni non diversamente e utilmente affrontabili con strumenti di mercato. Questi sembrano i casi di Ansaldo Energia, e Generali, che appaiono come operazioni dettate dalla ragion politica e non da quella industriale. In un caso (Rocco Forte) le ragioni strategiche dell’investimento sembrano assai deboli.
La scelta di quali campioni sostenere è probabilmente opinabile, dal punto di vista dei non prescelti: ragione per la quale una adeguata due diligence su potenzialità, redditività presente ed attesa, scenari industriali e tecnologici futuri è di assoluta priorità ed importanza, come la scelta di quali sono i settori su cui investire – e 14 ci sembrano tanti.
Massimo Vicari / Aprile 12, 2016
Oltre a quello, la CDP, che è sostanzialmente frutto del risparmio postale, investe in una serie di imprese grandi e piccole che mal si conciliano con la garanzia degli investimenti offerta ai sottoscrittori postali…per non parlare dei rendimenti!
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