Le aziende americane non hanno mai avuto le “tasche” così piene di liquidità. A fine 2014, secondo l’agenzia di rating Standard & Poor’s, l’ammontare complessivo di cassa[1] era pari 1.800 miliardi di dollari, praticamente l’equivalente del PIL italiano.
Per Goldman Sachs[2] la combinazione tra buoni risultati operativi e ingente disponibilità di liquidità delle aziende USA dovrebbero consentire di riversare nelle tasche degli azionisti circa 1.000 miliardi di dollari entro la fine del 2015. Una buona fetta di questi soldi sarà utilizzata per finanziare i piani di buy-back, cioè l’acquisto di azioni proprie sul mercato.
Negli ultimi venticinque anni, i programmi di buy-back sono diventati una parte rilevante dell’allocazione di capitale delle aziende. All’inizio degli anni Novanta, circa il 30% dei profitti[3] generati dalle aziende dell’S&P500 remunerava i propri azionisti sotto forma di buy-back. Negli ultimi anni le operazioni di buy-back hanno superato il 50% della distribuzione degli utili.
E questa tendenza non sembra diminuire nel 2015. Nel solo mese di aprile, l’ammontare complessivo di buy-back annunciato ammonta a $141 miliardi: +121% rispetto al 2014.
Quali sono i benefici delle operazioni di buy-back?
All’università, il mio professore di corporate finance ha sempre visto di buon occhio queste operazioni: “Sono un buon modo di dare al mercato un segnale che il management ha fiducia nel futuro dell’azienda”.
In effetti, in questo modo si riducono le azioni in circolazione, aumenta il potere di acquisto di un’azione e allo stesso tempo migliorano gli indicatori di profittabilità aziendale (ad esempio migliorano gli utili per azione).
Allo stesso tempo, questa “manipolazione” dei conti può illudere perché, riducendo le risorse disponibili per gli investimenti, si rischia di limitare il valore futuro dell’impresa, accontentando le esigenze di breve termine degli azionisti (e anche dei manager, che sono pagati in larga parte con delle stock option).
Al di là degli aspetti più tecnici, chi negli ultimi anni ha investito nelle società che compongono l’indice S&P500 che hanno attuato ingenti programmi di buy-back, ha beneficiato di una performance superiore rispetto a quella del mercato. Dal 2007, l’indice S&500 buy-back ha generato un rendimento del 138%, contro il 78% dell’S&P500.
Come investire nelle aziende che fanno i buy-back
Su Borsa Italiana ci sono due ETF che permettono di investire su questo tema:
- AMUNDI ETF S&P 500 BUYBACK UCITS ETF EUR (ISIN FR0012395473) – l’ETF permettere d’investire sulle prime 100 società dell’indice S&P500 con il più alto indice di buy-back; l’ETF è capitalizzato;
- POWERSH GLOB BUYBACK ACHIEVERS UCITS ETF (ISIN: IE00BLSNMW37) – investe in società con importanti piani di buy-back a livello internazionale; l’ETF distribuisce dividendi.
[1] Comprende anche strumenti finanziari facilmente liquidabili.
[2] http://www.reuters.com/article/2015/04/28/us-usa-markets-buybacks-idUSKBN0NJ29E20150428
Gianni / Giugno 24, 2015
Interessante.
Ma a fare i buyback hanno anche un risparmio fiscale in USA rispetto a distribuire dividendi?
Forse gli azionisti? Non so quanto paghino di tasse gli azionisti sul capital gain rispetto alla distribuzione del dividendo.
La liquidità che usano per sti buyback la si vede in qualche modo nel conto economico, o la tolgono dallo stato patrimoniale?
Cioè incide in qualche modo sull’EBIT o sull’utile?
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Jacopo Caretta Mussa / Giugno 24, 2015
Non so se c’è un risparmio fiscale. Cmq possono finanziarli in vario modo: a debito, usando la cassa oppure con gli utili. Se usano la cassa ad esempio diminuiscono gli attivi ed aumenta il ROA. Magari ci faccio un ABC Finanza sull’argomento.
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Matteo / Giugno 24, 2015
Dipende: al momento dividendi e capital gain di breve periodo (<1 anno) sono tassati all’aliquota marginale della persona (da 10% a 39,6%), mentre le tasse sui capital gain di lungo periodo sono al 15%. Ma ci sono anche casi speciali e tassazioni per i più ricchi anche su quelli di lungo periodo (tra 0% e 28%).
L’effetto dei buyback lo vedi nel rendiconto finanziario come voce negativa, e nello stato patrimoniale in vari modi:
1) Cash (attivo in diminuzione) + equity (passivo in diminuzione)
2) Debito (passivo in aumento) + equity (passivo in diminuzione) [attivo rimane invariato]
Attenzione: le azioni riacquistate possono essere cancellate (diminuzione permanente di equity) oppure rimanere come “treasury shares” (e magari dopo un anno le ricollocano sul mercato senza dire niente…).
EBIT è invariato, infatti è pre-interessi; utile può salire o scendere a seconda della tecnica utilizzata. Ma utile per azione in genere aumenta perché ci sono meno azioni in circolazione.
L’impatto maggiore dovrebbe essere sul ROE (meno equity); il ROA può andar bene per le banche, per le aziende industriali ha poca importanza.
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Massimo Vicari / Agosto 3, 2015
I buy back mi sembrano anche un modo per dire ” ehi, non sappiamo dove investire ad alta marginalità, non possiamo espanderci perchè il mercato è saturo e non abbiamo altre idee”. Sono troppo pessimista?
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