Pronto il “fondo-salva-imprese”: l’IRI rinasce? Il governo italiano sta approntando un “fondo” (con struttura giuridica ancora da definire) per interventi in imprese con squilibri patrimoniali e finanziari temporanei, ma ancora con prospettive industriali positive. L’ipotesi dovrebbe far parte del c.d. “investment compact” o del decreto-Ilva.
Il pacchetto è attualmente allo studio di un gruppo di esperti del MEF e del MISE. Il fondo potrebbe essere inizialmente dotato di un capitale di 4 miliardi di euro, con la partecipazione di banche, fondi di private equity, investitori istituzionali, CDP (che potrebbe intervenire solo come “anchor investor”, per evitare di configurare il tutto come “intervento di Stato” che violerebbe i trattati UE).
Ci sarebbero due categorie di azionisti: da un lato banche, fondi, privati che avrebbero la governance del fondo; dall’altro, CDP, fondi pensione, Poste Vita, Inail con garanzia statale sul capitale e rendimento minimo.
Certamente è un omaggio postumo (forse dovuto) ad Alberto Beneduce ed alla “sua” IRI.
Il fondo dovrà trovare una sua collocazione fra il Fondo Strategico e il Fondo Italiano di Investimento, che hanno obiettivi diversi ma precisi: ci riuscirà? Le risorse saranno adeguate? È questo che la situazione richiede? Che impatti potrà avere sul sistema industriale italiano? Aumenterà, o diminuirà, la concorrenza sul mercato? È una misura contraria alla libera concorrenza?
Vediamone i principali pro e contro.
PRO
Fra gli aspetti che giocano a favore, si deve sottolineare l’intenzione del governo di vedere il fondo come agente della sopravvivenza, tramite interventi prevalentemente finanziari, di società in (temporanea) crisi di impresa, in una fase congiunturale negativa e prospettive generali incerte.
La scelta delle imprese in cui investire è lasciata al “governo del fondo” che quindi opererà come agente di pianificazione industriale, scegliendo settori e imprese. Se la scelta si rivelasse corretta, una stagione di interventi statali virtuosi segnerà il futuro di interi settori industriali. La dimensione degli interventi, per settore e singola impresa, e la diversificazione degli investimenti saranno elemento critico per il successo dell’iniziativa.
Il cherry picking, la capacità di scegliere le imprese su cui puntare, lascerà fuori dal paniere molte società: difficile immaginare che siano tutte da evitare, in particolare in assenza di chiare competenze industriali spendibili da parte del fondo.
CONTRO
Fra gli aspetti negativi, il fondo si scontra con il fatto che nell’ordinamento italiano le crisi di impresa trovano già soluzione nelle norme sulle “crisi” (Risanamento ex. Art 67 L. Fall., Ristrutturazione del debito ex. Art 182-bis L. Fall., Concordato Preventivo) e sulle “grandi crisi” (legge Marzano).
Un ulteriore livello sembra da un lato un “intervento per un caso singolo” (Ilva: tema che meriterebbe un approfondito esame sulle incongruenze del sistema-Italia), dall’altro un intervento ad hoc per consentire al sistema bancario di dismettere crediti in sofferenza nella peggiore tradizione della pubblicizzazione delle perdite.
Le imprese o stanno sul mercato con le loro forze, o chiedono la protezione della legge fallimentare con le garanzie e i limiti in essa previsti; un intervento come quello immaginato appare, a nostro avviso, per quello che è: una potenziale alterazione della concorrenza e del mercato che consentirà ad alcuni fortunati di essere messi sotto il protettivo ombrello della mano pubblica, che spesso cambia d’abito, ma non cambia di natura.