Raffica di rincari per benzina e diesel dopo gli aumenti decisi ieri dall’Eni
Dobbiamo realmente preoccuparci di un aumento del prezzo del petrolio a causa delle tensioni in Iraq?
Vediamo cosa sta succedendo e poi analizziamo il mercato del petrolio.
Cosa sta succedendo in Iraq?
L’Iraq è in fiamme, le regioni nordoccidentali in mano ai jihadisti dell’Isis (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) hanno dichiarato la ricostituzione di un Califfato (regime politico islamico sparito da oltre un secolo). In un documento diffuso su Internet, l’Isis ha anche designato il suo capo Abu Bakr al-Baghdadi “califfo“, cioè “capo dei musulmani” nel mondo. Il Califfato dovrebbe essere imposto sulle regioni conquistate dall’Isis in Siria e in Iraq. Ma secondo il portavoce dell’esercito iracheno, Qassim Atta: “L’annuncio della nascita di un califfato è un messaggio da parte dello Stato islamico non solo per l’Iraq o la Siria, ma per la regione e il mondo. Il messaggio è che lo Stato islamico è diventato una minaccia per tutti i Paesi“. Lo vediamo nella mappa sotto (Fonte: “Repubblica”, 30 giugno 2014).
Ma quali conseguenze possono avere queste tensioni geopolitiche sul prezzo del petrolio?
Il mercato del petrolio
Il mercato del petrolio è caratterizzato da una domanda rigida (ovvero indipendente dalle variazioni del prezzo) da parte dei Paesi compratori. Scorte limitate, crisi geopolitiche e shock dal lato dell’offerta generano il rischio di un’impennata dei prezzi petroliferi. Le quotazioni del petrolio hanno ricevuto molta attenzione mediatica e nell’ultimo mese: il prezzo del Brent è cresciuto del 3,6%.
A meno che la situazione in Medio Oriente non degeneri, però, non occorre preoccuparsi eccessivamente. Attualmente l’Iraq produce circa il 3,5% dell’offerta mondiale di petrolio (anche se negli anni futuri è attesa una crescita di questa quota). Inoltre buona parte della produzione è localizzata nella zona sud del Paese, di dominazione sciita, lontana da rischi di una rivolta sunnita.
Come hanno reagito i mercati alle tensioni in Iraq?
L’impatto sui prezzi energetici delle tensioni geopolitiche è stato fino ad oggi contenuto, se lo si analizza da una prospettiva più ampia. In particolare, analizzando la dinamica del rapporto tra il prezzo del Brent e un indice azionario come l’S&P 500 si nota come sia intorno ai minimi degli ultimi 5 anni.
Il rapporto, che esprime la forza relativa dei due asset, è in trend decrescente anche nel breve termine: le quotazioni delle azioni USA sono cresciute a un tasso superiore rispetto all’indice petrolifero. Risultati simili si ottengono anche se si rapporta il Brent a indici azionari internazionali (con o senza i Paesi Emergenti) oppure a indici obbligazionari globali.
In altri termini, la reazione dei mercati è stata blanda e il momentum del petrolio è ancora debole. Queste conclusioni rimangono valide anche se si utilizzano indici più ampi di prezzi dell’energia, come l’indice DJ-UBS Energy Index.
Certo è che ci troviamo in estate, un periodo di mercati più “sottili”: questo significa che gli shock attecchiscono più facilmente su problemi strutturali latenti (come quelli dell’Eurozona) provocando turbative sui mercati finanziari. È innegabile che la situazione in Medioriente sia uno dei fattori di rischio.