Qualche settimana fa i giornali intitolavano “La lira turca crolla ai minimi storici sul dollaro…” oppure “fuga dalla Turchia, ecco i fondi colpiti dai ribassi”. L’inflazione corre oltre il 7%, il deficit della bilancia dei pagamenti (di parte corrente) ammonta a circa il 7% del PIL, calano le esportazioni, risparmi privati e investimenti esteri.
Così, nella notte del 30 gennaio, la banca centrale turca ha deciso di alzare brutalmente i tassi d’interesse. Una mossa, inaspettata dai mercati, che da sola non sarà sufficiente. Vediamo perché.
La crisi finanziaria globale ha dimostrato che le economie aperte da un punto di vista finanziario hanno molte aree di vulnerabilità. La Turchia è un classico esempio: rischia di essere il prossimo Paese colpito da “sudden stop” (improvvisa caduta/inversione dei flussi finanziari) e anche in questo caso, come in altre crisi dei mercati emergenti, la traiettoria è sempre lo stessa… this time is not different!
Le crisi finanziarie nei mercati emergenti tendono a seguire un copione simile: iniziano con una caduta/inversione dei flussi finanziari. La fuoriuscita dei capitali genera poi degli effetti a catena: il collasso della valuta, credit cruch del sistema bancario, caduta degli investimenti, imprese che licenziano e chiudono, aumento della disoccupazione.
Al Paese che a causa dell’afflusso di capitali si trova ad essere debitore nei confronti dell’estero, per poter invertire la sua posizione e ricominciare ad attrarre nuovamente capitali, viene richiesto di deprezzare (o svalutare, a seconda dei casi) la moneta e /o ridurre la domanda di beni e servizi, i salari e quindi il PIL.
Da quando la Turchia si è aperta ai mercati finanziari nel 1989, l’economia ha attraversato tre crisi:
- l’errore di politica economica di tenere bassi i tassi nel 1994;
- le difficoltà del sistema bancario nel 2001;
- la Grande Crisi del 2008-2013.
Turchia: variazione della posizione netta con l’estero
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Il grafico mostra l’accreditamento o indebitamento estero netto della Turchia nel tempo. Se il valore è superiore a zero vuol dire che il Paese è creditore nei confronti dell’estero, se è sotto lo zero è debitore nei confronti dell’estero. I cambi di direzione della retta indicano quelli dei flussi di capitali in entrata o in uscita. Il dato del 2013 è una previsione del FMI.
Si può notare come la Turchia abbia conosciuto bruschi cambi di direzione nei flussi di capitale e come, in tutte e tre le crisi, il Paese sia partito come debitore netto, con picchi di capitali netti in entrata, pesanti squilibri della bilancia delle partite correnti e una valuta forte. Seguono deflussi di capitale e poi temporanei aggiustamenti dei conti con l’estero in parte attraverso un apprezzamento del tasso di cambio reale a seguito di nuovi afflussi di capitale… il meccanismo così si ripete!
È questo il caso nella situazione attuale? Potrebbe, se non si attuano appropriati interventi di politica economica.
Uso il condizionale anche perché la Turchia possiede sia elementi di debolezza, che hanno reso il paese vulnerabile a shock esterni, sia punti di forza.
Elementi di forza
- La Turchia ha finanziato la crescita durante le crisi attraverso afflussi di capitale esteri, nonostante gli elevati tassi d’interesse reale. L’effetto negativo sull’economia degli elevati tassi d’interesse è stato compensato dalla crescita degli investimenti finanziati con i capitali stranieri.
- Gli investimenti interni sono stati indirizzati a beni manufatturieri permettendo una certa espansione e diversificazione dei prodotti commerciati, malgrado l’apprezzamento della valuta.
Elementi di debolezza
- Senza considerare l’apporto dei capitali esteri, gli investimenti aggregati sono rimasti bassi, così come l’ammontare dei risparmi interni. La crescita degli investimenti per effetto di una dipendenza dai capitali esteri insieme ad un basso livello dei risparmi interni, hanno reso l’economia del Paese vulnerabile all’inversione dei capitali stranieri.
- Il Paese attualmente soffre l’instabilità politica che lo espone ad una certa mancanza di fiducia da parte dei mercati esteri. Si parla infatti di “bolla politica”, nel senso che, negli ultimi anni, le maggiori riforme strutturali, legali e istituzionali sono state rinviate.
- Così come avvenuto in Asia o in America Latina, il forte deprezzamento della lira turca in caso di stop improvviso dei flussi di capitali esteri (sudden stop), lascia le imprese turche in balia dei creditori stranieri in quanto aumenta il valore dei loro debiti denominati in valuta estera, rischiando di portarle all’insolvenza (questo effetto si chiama balance sheet effect).
In conclusione, l’instabilità macroeconomica è stata a lungo la rovina dell’economia turca. L’attuale crisi finanziaria ha mostrato aree di vulnerabilità del Paese e l’insostenibilità della sua strategia di crescita. Ritengo, per quanto detto, che non sia necessario buttare via il bambino con l’acqua sporca. Tuttavia, come sostengono alcuni economisti, sono importanti misure d’intervento che mirino a una crescita finanziata internamente, in modo da ridurre ulteriormente la dipendenza dai capitali esteri. In tal senso è importante il ruolo di una politica fiscale anticiclica, ma servono anche politiche del cambio di più ampio respiro all’interno di misure di sterilizzazione, vincoli ai movimenti di capitale e vincoli all’indebitamento estero, in modo da evitare l’innesco dei meccanismi sopra descritti.
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Tuttavia alla luce di quanto detto è importante valutare i rischi a cui si va incontro. Ad esempio investire in Turchia, secondo le nostre valutazioni, attualmente risulta rischioso. E pure caro.