Le strategie di investimento passivo – che mirano ad avvicinarsi o riprodurre la redditività di un insieme o un settore del mercato – hanno conosciuto una crescente popolarità negli ultimi anni, principalmente grazie alla facilità e all’economicità che caratterizzano tali strategie investendo in portafogli di azioni ben diversificati. I fondi comuni e gli Exchange Trade Funds, che replicano passivamente gli indici di mercato, vengono sempre più frequentemente utilizzati sia nell’ambito delle gestioni istituzionali (in particolare i fondi pensione) sia da parte degli investitori privati. In aggiunta, come dimostrato da numerosi studi, nel lungo periodo i fondi passivi riescono spesso ad ottenere, a parità di rischio, rendimenti più elevati rispetto alle strategie di investimento di tipo attivo.[1]
I vantaggi della strategia di investimento di tipo passivo sono controbilanciati da alcuni svantaggi: ripartire passivamente e sistematicamente l’investimento secondo la capitalizzazione dei titoli, dei settori o dei Paesi comporta notevoli rischi in caso di sopravvalutazione/sottovalutazione dei prezzi di mercato rispetto ai valori fondamentali sottostanti.
Indici di mercato a capitalizzazione
Il primo vantaggio è dato dal metodo di calcolo degli indici di mercato tramite una ponderazione basata sulla capitalizzazione dei titoli inclusi nell’indice; in questo modo il rendimento degli indici corrisponde alla performance aggregata di tutti investitori di uno specifico mercato.
Un secondo vantaggio è riconducibile alla minore frequenza di ribilanciamento del portafoglio: se l’investimento in un titolo si accresce o si riduce per una variazione del suo prezzo di mercato, il peso del portafoglio e nell’indice di riferimento si aggiustano simultaneamente e autonomamente.
Nel grafico si evidenzia la crescita spropositata del peso del settore tecnologico alla fine degli anni ’90 del secolo scorso. Al punto di massimo del settore tecnologico, il peso all’interno dell’indice azionario Usa aveva superato il 40%, contro un valore del fatturato delle società del settore non superiore al 15% del totale.
Indici fondamentali
La presenza di inefficienza e di errori di valutazione nei prezzi di mercato ha fatto scaturire dubbi circa la metodologia a capitalizzazione citata e la conseguente realizzazione di un nuovo metodo di costruzione degli indici, realizzato sui valori fondamentali delle società quotate (fatturato, cash flow, dividendi, numero di occupati, ecc…), basato su uno studio pubblicato nel 2005 da R. Arnott e J. Hsu e Moore[2].
La letteratura sulle tecniche di costruzione degli indici su base fondamentale ha fornito numerose evidenze della capacità di tali indici di fornire agli investitori, anche grazie alla maggiore esposizione verso i titoli value (elevato contenuto patrimoniale, con un rapporto prezzo/utili più basso rispetto a titoli più aggressivi) e small cap (società quotate con una piccola capitalizzazione), una combinazione di rischio-rendimento superiore a quella fornita dai tradizionali indici a capitalizzazione.
Un approccio “ibrido”: Collared Weighting
In seguito si è aggiunto un terzo metodo, che tenta di unire alcuni aspetti dei due approcci precedenti, tentando di massimizzare gli aspetti positivi.
Nel 2006 S. Arya e P. Kaplan[3] pubblicarono un saggio nel quale veniva proposto un approccio “ibrido” alla metodologia di indicizzazione, denominato Collared Weighting. Il metodo si fonda sulla tradizionale metodologia di indicizzazione basata sulla capitalizzazione dei titoli ma, nelle fasi in cui si osservano forti discrepanze tra i prezzi di mercato ed i valori fondamentali, è prevista una modifica del criterio di pesatura a favore dell’approccio fondamentale.
Come funziona?
Inizialmente viene calcolato il peso di ogni titolo sulla base dei fondamentali. A questo valore vengono assegnate “bande” inferiori e superiori (“collars”) che determinano i limiti superiori ed inferiori per il peso dei singoli titoli nell’indice.
Viene utilizzato il peso di ogni titolo basato sulla capitalizzazione nel caso in cui risulti all’interno del range così calcolato; nel caso in cui invece il prezzo di mercato si discosti eccessivamente dal valore teorico fondamentale, viene assegnato il peso derivante dalla metodologia fondamentale.
L’indice così calcolato risulta quindi composto in parte da titoli con una pesatura pari alla capitalizzazione ed in parte da titoli il cui peso sull’indice riflette i valori fondamentali.
Arya e Kaplan nel loro studio mostrarono un’applicazione della metodologia analizzando il mercato americano nel periodo compreso tra il 1997 ed il 2005. Nel periodo iniziale delle osservazioni, la percentuale di titoli pesati secondo la capitalizzazione era pari al 67%; alla fine del 1999, in piena bolla tecnologica, la percentuale dei titoli pesati secondo la capitalizzazione era sceso al 39% del portafoglio. Successivamente, con il ritorno dei prezzi di mercato a valori più coerenti ii fondamentali, la percentuale dei titoli pesati secondo la capitalizzazione ricominciò a crescere.
Gli autori evidenziarono che, nel periodo in esame:
- l’indice a capitalizzazione evidenziava un rendimento medio annuo del 6,8% con una volatilità annua del 17,4%,
- la metodologia fondamentale forniva una performance annua del 9,07% con una volatilità del 17,1%
- l’indice basato sull’approccio ibrido si rivalutava dell’8,01% all’anno, con una volatilità del 16,8%
La terza metodologia manteneva, quindi, un vantaggio rispetto all’indice a capitalizzazione sia in termini di maggiore performance sia di minore volatilità.
E tu quale metodologia preferisci per i tuoi investimenti? Descrivicela tra i commenti a questo post.
[1] Malkiel, B. G., 1995, Returns from Investing in Equity Mutual Funds
[2] Arnott, R. D., Hsu, J. C., Moore, P., 2005, Fundamental Indexation, Financial Analyst Journal 61, 83-99.
[3] Arya S, Kaplan P. 2006, Collared Weighting: A Hybrid Approach to Indexing, Morningstar Inc.