La 21esimaConferenza delle Parti di Parigi si è chiusa con un accordo sul clima che mira sostanzialmente a non peggiorare ulteriormente la situazione, ovvero a mantenere la temperatura globale entro un limite di 2 gradi in più rispetto all’era pre-industriale. In caso contrario ci sarebbero gravi conseguenze naturali con un impatto diretto sulla società e la politica del globo, nonché sul piano economico-finanziario.
Per centrare l’obiettivo e limitare il riscaldamento globale, si stima sia necessario mantenere il livello di emissioni di CO2 sotto i 565 miliardi di tonnellate (per darvi un’unità di misura 2 tonnellate di emissioni di CO2 sono prodotte da un’auto di categoria media che percorre 10.000 chilometri o un da volo Roma-Los Angeles).
I rischi, dicevamo, sono anche di tipo finanziario: secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) gli investimenti richiesti al settore energetico per limitare l’aumento della temperatura al 2% possono ammontare fino a $900 miliardi[1], e per la società di consulenza Mercer, l’insieme delle azioni che servirebbero per rispettare gli impegni presi possono richiedere investimenti complessivi per circa 2-5.000 miliardi di dollari entro il 2030[2]. Secondo la Banca d’Inghilterra[3] inoltre, le perdite annuali sostenute dal mondo assicurativo per disastri legati all’ambiente sono aumentate da 10 miliardi di dollari del 1980 ai 50 miliardi di dollari degli ultimi 10 anni.
Perché la lotta al cambiamento climatico dovrebbe interessare agli investitori?
A parte l’impegno a dare un piccolo contributo per conservare il pianeta o per sentirsi in pace con la propria coscienza, in questo frangente ci focalizziamo su quanto il tema del riscaldamento globale possa costituire nel prossimo futuro un reale fattore di rischio all’interno di un portafoglio di investimento.
Per rendersene conto è sufficiente pensare all’imminente conferfenza di Parigi e alle regolamentazioni introdotte dai governi per cercare di ridurre le emissioni inquinanti (vedere la tabella qui sotto): i policymakers stanno cercando infatti di intervenire con severe regolamentazioni (e sanzioni per chi le sfora) nei confronti dei produttori di carburante fossile e delle industrie energy-intensive e con incentivi e supporto alle nuove tecnologie e alle società attente all’efficienza energetica e alle energie rinnovabili.
Se ancora non siete convinti dell’impatto diretto delle regolamentazioni sui vostri investimenti, allora facciamo qualche esempio concreto. Ricordate il tonfo in Borsa di Volkswagen e le conseguenti vendite che hanno colpito tutto il comparto auto europeo dopo che il produttore tedesco ha ammesso di aver truccato i dati sulle emissioni? Oppure, guardando un po’ più indietro nel tempo, ricordate il calo del settore utility europeo dopo lo tsunami del 2011 in Giappone, che ha portato a un’ondata di nuove regolamentazioni sul nucleare?
Ora il clima è tra le priorità delle agende di tutti i governi: con i riflettori puntati addosso, le aziende dovranno adattarsi ai nuovi standard, e lo faranno a caro prezzo, un po’ come è successo per il settore finanziario dopo la crisi globale.
Alla luce di queste considerazioni, di recente anche le grandi società di gestione si sono mobilitate in un’ottica di maggiore attenzione ai temi ambientali: ne è un esempio la Portfolio Decarbonization Coalition, coalizione istituita dall’Onu e da alcuni grandi investitori – tra cui la società di asset management Amundi – per “decarbonizzare” gli investimenti.
Amundi, in particolare, ha lanciato lo scorso anno, insieme a MSCI e in collaborazione con due importanti fondi pensione europei, gli indici MSCI Low Carbon Leaders (World e Europe), la cui strategia consiste nell’escludere i titoli più inquinanti in termini di emissioni di anidride carbonica tra quelli che compongono l’universo investibile degli indici presi come riferimento (MSCI World e MSCI Europe). Ne parleremo più approfonditamente nel prossimo post su questo tema.
[1] http://www.ipcc.ch/report/ar5/
[2] http://www.mercer.com/insights/point/2014/climate-change-scenarios-implications-for-strategic-asset-allocation.html
[3] http://www.bankofengland.co.uk/publications/Pages/speeches/2015/844.aspx#1