I nodi da sciogliere sul cosiddetto “APE” sono ancora molti. Ma l’anticipo pensionistico, così come è stato immaginato, potrebbe portare diversi vantaggi sia a chi esce dal mondo del lavoro sia a chi vi entra
Procedono a ritmo sostenuto i lavori del Governo italiano sul sistema di anticipo pensionistico, il cosiddetto APE, che si sta delineando sempre più come una specie di mutuo previdenziale. Certo i nodi da sciogliere sono ancora parecchi, ma se il progetto andasse in porto così come è stato concepito potrebbe portare con sé diversi aspetti positivi.
Di cosa si tratta?
Come abbiamo già spiegato in un precedente post, l’APE è un meccanismo pensato per consentire ai lavoratori – privati, autonomi e statali – di andare in pensione fino a tre anni prima del raggiungimento del requisito di vecchiaia. Si dovrebbe partire nel 2017 con un test, che riguarderebbe i nati tra il 1951 e il 1953, quelli che quindi avranno più di 63 anni e meno dei 66 e sette mesi necessari per andare in pensione di vecchiaia. Dal 2018 toccherà anche alla classe 1954 e nel 2019 ai nati nel 1955.
Come funziona?
L’anticipo pensionistico è paragonabile ad un mutuo, senza però la garanzia reale dell’immobile: secondo quanto emerso finora, i tre anni di pensione anticipata sarebbero infatti coperti da un vero e proprio prestito bancario, con una garanzia assicurativa in caso di decesso del pensionato che, da un lato, coprirebbe le spalle degli istituti di credito e, dall’altro, eviterebbe che il debito vada ad intaccare l’eventuale pensione di reversibilità.
Chi usufruisce dell’anticipo sarebbe dunque chiamato a restituire il prestito – che verrebbe decurtato dall’assegno pensionistico – nel corso dei 20 anni successivi al raggiungimento dell’età necessaria a ricevere la pensione di vecchiaia. In pratica, è come se il dipendente a tre anni dalla pensione di vecchiaia accendesse un mutuo ventennale: il capitale da restituire sarebbe pari all’anticipo ricevuto rivalutato di anno in anno del tasso di interesse applicato sul prestito. A differenza di quanto succede con un normale mutuo, però, il pensionato non si interfaccerebbe direttamente con le banche, ma con l’INPS, che fungerebbe da intermediario.
Quanto costa l’APE?
In base ai piani del governo, l’APE non dovrebbe arrivare a pesare più del 15% dell’assegno della pensione, nel caso dei redditi più alti. Per i soggetti in difficoltà sono invece previste delle agevolazioni fiscali in grado di ridurre e in certi casi azzerare il costo della rata. Ma i dettagli sono ancora da definire. Tutta questa architettura dovrebbe consentire allo stesso tempo di minimizzare i costi in capo allo Stato, che spera di cavarsela con 600/700 milioni di euro l’anno.
I lavori sono ancora in corso, per cui potrebbe essere prematuro esprimere un giudizio sull’APE. Ma se davvero tutti i tasselli riuscissero a trovare il loro posto secondo l’architettura stabilita, il nuovo meccanismo potrebbe avere ricadute positive da più parti: innanzitutto darebbe ai lavoratori la possibilità di ritirarsi prima dei 66 anni, liberando così un po’ di spazio per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Inoltre permetterebbe alle banche di riattivare l’attività di erogazione del credito a condizioni tutto sommato sicure.
Ma si sa, il diavolo sta nei dettagli: bisognerà vedere come si riuscirà a coniugare l’esigenza di minimizzare i costi per lo Stato con quella di stabilire rate non troppo onerose sull’assegno pensionistico di chi sceglie di anticipare il pensionamento.
Maurizio / Luglio 1, 2016
Non mi sembra che questo articolo possa portare qualcosa in fatto di chiarezza ad una situazione che chiara non é ancora. Né tantomeno possa spiegare cosa si nasconda dietro questo abominevole progetto di legge.
Infatti, le regole inerenti alle penalizzazioni in fatto di assegni previdenziali non sono ancora state rese note, ma l’autore parla tranquillamente di vantaggi per entrambe le parti, citando un probabile 15% così a caso senza alcun criterio.
Inoltre si cita che le classi dal 51 al 53 saranno interessate in quanto avranno più di 63 anni ma meno dei 66, ma se non faccio male i conti nel 2017 anno in cui dovrebbe partire questa riforma, quelli nati nel 51 avranno ormai quasi l’età per andarci in pensione.
Comunque aldilà delle inesattezze dell’articolo, quello che di fondo mi lascia l’amaro in bocca é questa leggerezza con cui ormai tutti scrivono di un argomento importante come questo dando senza alcun ritegno pareri come fossero esperti in materia e contribuendo invece solo a creare ulteriore confusione.
Questo tentativo disgustoso dello stato di favorire le banche che erogheranno i prestiti e le assicurazioni che ne copriranno i rischi é la dimostrazione che in Italia i problemi non si risolvono ma si rimandano oppure come in questo caso diventano opportunità di scambio per una politica vecchio stile. Ciò che mi addolora é vedere che cehi ne scrive non contesta ciò, ma anzi sembra assecondarne gli obiettivi.
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Raffaele Zenti / Luglio 4, 2016
“Le opinioni sono come le palle. Ognuno ha le sue.” Così recitava Clint Eastwood nei panni dell’ispettore Callaghan. E questo vale anche qui.
Ciò detto, in più passaggi del post si dice che vi sono ancora diversi nodi da sciogliere circa l’APE, e lo si fa utilizzando correttamente il modo condizionale. Queste sono le notizie e le indiscrezioni emerse.
Poi, sul giudizio di merito dell’operazione, è ovvio che si può provare più o meno simpatia per le banche (e se legge il nostro blog, si accorgerà che siamo spesso assai critici nei loro confronti), ma resta il fatto che sono un tassello importante dell’economia. Ora, se riescono a svolgere una funzione utile alla società, erogando credito a un soggetto che intende uscire dal mercato del lavoro, finanziandolo (cosa che non può fare l’INPS per mancanza di quattrini), grazie alla presenza di una garanzia statale, in linea di principio è positivo per entrambe le parti.
Certo, i principi sono una cosa, e occorre dunque vedere l’attuazione, visto che come ricorda l’autrice “il Diavolo è nei dettagli”.
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